Spagna, Norvegia e Germania contro i fermi delle Ong nei porti italiani

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Foto: Pressenza.com

Molti attori della società civile ed esperti di diritto del mare hanno denunciato il carattere discrezionale, se non politico, dei fermi amministrativi delle navi delle Ong. Finora le uniche dichiarazioni pubbliche ufficiali erano state quelle delle autorità italiane, che hanno sempre giustificato le misure. Oggi, però, ne abbiamo altre di segno opposte: prese di posizione e documenti riservati degli Stati di bandiera coinvolti. Sono tre: Spagna (Open Arms e Aita Mari), Norvegia (Ocean Viking e Geo Barents) e Germania (Sea-Watch 3 e 4, Alan KurdiSea-Eye 4).

Il loro ruolo non è secondario, come potrebbe pensare chi non ha esperienza di navigazione. Nel diritto del mare la responsabilità sugli standard di sicurezza ricade in primis sulle autorità di bandiera e solo dopo sui paesi di approdo, com’è in questo caso l’Italia. Questi ultimi realizzano delle ispezioni, chiamate Port state control (Psc), dentro una cornice comune stabilita in Europa dalla direttiva 2009/16/CE e dal Memorandum di Parigi. L’accordo serve a limitare i rischi per le persone e l’ambiente marino ma anche a prevenire ripicche tra Stati, uniformando il regime dei controlli.

DA MAGGIO 2020 a oggi tutte le Ong del Mediterraneo sono state sottoposte a uno o più fermi amministrativi nei porti italiani. L’accusa principale è stata il trasporto, cioè il soccorso, di un numero eccessivo di persone e la mancanza di certificazioni corrispondenti a tale attività. Ad aprile scorso la Guardia costiera ha riferito a questo giornale che in seguito a una nota inviata il 29 gennaio 2020 dal Comando generale alle amministrazioni di bandiera, e dopo i primi blocchi delle navi, Spagna e Norvegia hanno adottato «azioni correttive, certificando le unità per le attività svolte», cioè il Search and rescue (Sar, ricerca e soccorso). All’appello mancava la Germania e per questo le sue navi hanno ricevuto un trattamento particolare: sono state detenute al termine di ogni missione.

Sentite da il manifesto, però, le autorità spagnole e norvegesi hanno fornito un’altra versione. «La Spagna non ha stabilito uno standard tecnico specifico per le operazioni Sar. Non esiste, infatti, un codice internazionale o una convenzione approvata dall’Imo [Organizzazione marittima internazionale, ndr] che richieda determinati requisiti tecnici per queste imbarcazioni», fa sapere la Direzione generale della marina mercantile del ministero dei Trasporti di Madrid. Analoga la risposta da Oslo: «Vogliamo sottolineare che non sono stati richiesti requisiti speciali obbligatori per le navi che, da sole o insieme ad altre, assistono le persone in pericolo in mare – afferma il segretario di Stato del ministero degli Affari esteri Jens Frølich Holte – È quindi una pura decisione volontaria dei proprietari ottenere queste notazioni addizionali dalla loro società di classificazione».

IL RIFERIMENTO è alla «notazione volontaria di classe Rescue» che, specifica Holte, «non è richiesta dall’autorità marittima norvegese o, nella nostra opinione, da alcuna legislazione internazionale». Tale certificazione è rilasciata da enti privati, come Rina o Bureau Veritas, ed è stata ottenuta da diverse navi umanitarie. Solo nel caso della Ocean Viking, però, ha permesso di evitare successivi blocchi. Questo perché tra luglio e dicembre 2020 la nave ha ricevuto ad Augusta degli adeguamenti tecnici in base alle indicazioni della Guardia costiera italiana. In particolare l’installazione di grandi zattere gonfiabili, da usare in caso d’emergenza. Oslo le ha poi certificate e ha approvato «il trasporto di 286 persone, a fronte di una precedente capacità pari a 41», fa sapere la Guardia costiera. Più che rilasciare una certificazione Sar, l’autorità di bandiera ha aumentato il numero massimo di passeggeri previsti nelle certificazioni statutarie.

LA STESSA COSA è avvenuta in queste settimane per le navi tedesche e per la Geo Barents (capacità aumentata da 83 a 383 persone e, ieri, fine della detenzione). Che questo possa mettere al sicuro da futuri fermi da parte delle autorità italiane rimane da vedere. La Guardia costiera, che dipende «direttamente e funzionalmente» dal ministero delle Infrastrutture guidato fino a febbraio 2021 da Paola De Micheli (Pd) e poi da Enrico Giovannini, afferma che le sue richieste servono ad aumentare gli standard di sicurezza, ma dal momento che non hanno riferimenti normativi chiari il rischio dell’arbitrio è dietro l’angolo...

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