Emergenze

Stampa

“Ogni anno oltre 130.000 bambini muoiono prima di compiere i 5 anni in Birmania; oltre un terzo dei bambini sono malnutriti e nella Dry Zone questa percentuale tocca il 50%. A dispetto di questa tragedia gli aiuti della comunità internazionale raggiungono a malapena i 2 dollariper persona a fronte delle migliaia di dollari pro capite dispensati per l’emergenza tsunami”. (Terre des Hommes Italia)

 

Gli interventi umanitari in contesti di emergenza

Uno stato di emergenza umanitaria identifica una situazione nella quale la popolazione è colpita da un evento straordinario, spesso inatteso, imputabile a fattori naturali o umani, che ne pongono a repentaglio la vita stessa. Un conflitto armato, un maremoto, un'epidemia, una gelata, l'incendio di un impianto industriale, il crollo di una diga sono solo alcuni esempi.

Un'emergenza umanitaria è più probabile, o quantomeno produce effetti maggiori, in situazioni di povertà e sottosviluppo, laddove le capacità di risposta sono limitate e le politiche di prevenzione inesistenti. I nord del mondo non sono esenti. Basti pensare all'uragano Katrina che nell'agosto 2005 ha sconvolto New Orleans, o alla sciagura di Chernobyl, catalogata come il più grave incidente nucleare della storia, disastri che hanno riscosso il loro tributo in termini umani e ambientali.

In ogni caso, a prescindere dalle cause che determinano uno stato di emergenza (naturali, antropiche, tecnologiche), gli effetti di quest'ultimo saranno tanto maggiori quanto più debole è la capacità di risposta della porzione di popolazione colpita: carenza di risorse, mancanza di prevenzione, inefficienza istituzionale. Allo stesso tempo, la portata di un evento avverso può essere tale da annullare i progressi compiuti da alcune comunità frenandone il processo di sviluppo. Non è quindi l'evento avverso in sé a determinare uno stato di emergenza ma il contesto all'interno del quale l'evento stesso si manifesta: un terremoto non sarà necessariamente disastroso se colpisce zone a bassa intensità demografica, o dove popolazione e istituzioni hanno attuato contromisure necessarie; un periodo di siccità non si tramuta in maniera automatica in fame e carestie, se la comunità colpita conta su forme di sostentamento alternative alla coltura o dispone di sistemi di irrigazione delle terre ed accumulazione idrica.

Da qui l'importanza di una cultura di prevenzione e analisi del territorio, che sta alla base di numerosi interventi umanitari. Nell'ultimo ventennio, le ong e le organizzazioni internazionali si sono sempre più specializzate in interventi in risposta a situazioni di crisi, operando a sostegno delle popolazioni colpite, mediante attività finalizzate a fronteggiare bisogni di prima necessità, come acqua, cibo, medicinali, rifugi ecc. Tale specializzazione, tra guerre e catastrofi naturali, ha portato negli anni all'elaborazione di alcune linee guida e protocolli comuni per le operazioni di primo intervento nelle zone colpite, come il Progetto Sfera e il Protocollo di Hyogo. Si tratta di linee d'azione comuni, elaborate dalle maggiori organizzazioni operanti nel settore (come Oxfam, la Federazione Internazionale della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa, Save the Children), che stabiliscono criteri minimi di risposta in caso di disastro antropico o naturale.

In particolare, il Manuale Sfera propone quattro ambiti d'azione per un sostegno completo a favore delle comunità colpite: acqua e sicurezza igienica; nutrizione e sicurezza alimentare; riparo e beni non alimentari; salute e servizi sanitari. Per ciascuna di queste macro classi vengono evidenziate norme minime, indicatori chiave e note orientative, che indirizzano gli operatori umanitari presenti sul terreno, al fine di una risposta in linea con le esigenze della popolazione vittima della crisi. Ad esempio, il Manuale non si limita a ribadire la necessità dell'accesso a fonti d'approvvigionamento d' acqua, ma offre anche indicazioni precise sulle modalità di fornitura che le organizzazioni di intervento devono osservare.

 

La dignità in emergenza

Alla base di qualsivoglia intervento umanitario in un contesto di crisi, esiste un inalienabile diritto umano a ricevere un' assistenza degna ad alleviare la sofferenza e a garantire protezione. Si tratta di un principio garantito anche dalla Convenzione di Ginevra e dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, nelle quali si formalizza il dovere degli Stati e delle parti in guerra a fornire assistenza e protezione alla popolazione civile colpita da un conflitto armato, nonché a permettere alle organizzazioni umanitarie d’intervenire. Tale principio si può estendere alle crisi dovute a cause diverse dalla guerra, in una sorta di generale diritto all'aiuto.

Un tempo (anni 70 e 80) le agenzie internazionali, i governi e i grandi donors rispondevano alle emergenze secondo una logica più assistenzialista: grandi trasferimenti di fondi, consegna di cibo, acqua e medicinali, costruzione di ripari e di protezione fisica da ulteriori minacce. Oggi l'orientamento prevalente, tra le ong e i donatori, afferma che nessun intervento, per quanto tempestivo ed efficace, può prescindere da quel concetto più intimo della sfera personale di ognuno che prende il nome di dignità. Non a caso, la Cruz Roja peruviana ha istituito programmi di supporto psicologico per le popolazioni colpite dal terremoto di Pisco del 2007. Non solo cibo e case, dunque, ma anche aiuto al ritorno verso la normalità dal punto di vista relazionale e psicologico.

Stato di emergenza non significa sospensione dei diritti umani e della dignità personale; l'improvviso venir meno delle condizioni e delle risorse per la sopravvivenza non priva l'essere umano del suo bisogno di protezione, di socializzazione, di intimità, di relazioni col prossimo, di protezione del proprio credo e via dicendo. Per fare un esempio, l'istallazione di una serie di latrine in un campo profughi è si funzionale a migliori condizioni igenico-sanitarie, ma non è decorosa se ogni latrina viene utilizzata da un numero troppo elevato di persone o se non viene assicurata la separazione tra uomini e donne.

Rights in Crisis è uno dei valori fondanti della ong Oxfam, che promuove interventi in situazioni di emergenza che tengano conto dei diritti umani e dello sviluppo a lungo termine. Secondo questa logica, il “qualsiasi cosa va bene” perché la guerra o il maremoto hanno portato morte e distruzione e quindi l'alternativa sarebbe il nulla, non può essere accettato, poiché la differenza tra sopravvivenza e vita passa attraverso il superamento del mero soddisfacimento dei bisogni corporei, per invadere la sfera personale nella sua completezza, fatta di valori, moralità, onore, diritti, doveri. L'essere umano non cessa di sperare poiché affamato, di preservare la propria dignità poiché senza una casa, di mantener fede ai propri valori poiché ammalato.

A volte la portata distruttiva di un conflitto armato, cosi come di un fenomeno naturale, può essere tale da minare lo stesso tessuto sociale di una comunità: la sopravvivenza diventa l'esigenza primaria (quando non la unica) e tutte le attività si concentrano in funzione di essa, paralizzando di fatto la normale vita comunitaria (fatta di lavoro, istruzione, relazioni sociali …); quando il dramma quotidiano non permette una pianificazione futura, per il singolo, la famiglia o la comunità nella quale si vive, lo sviluppo risulta compromesso. Numerosi studi e l'evidenza empirica di progetti portati avanti sul terreno evidenziano che il superamento di una situazione di crisi richiede la partecipazione tanto della comunità colpita, che dev'essere protagonista attiva del proprio riscatto, quanto degli operatori umanitari, ai quali non si chiede, come detto, di fornire unicamente le risorse di prima necessità ma anche di garantire il rispetto della persona umana.

 

Riconoscimento delle vulnerabilità e delle risorse

Non tutte le vittime di una situazione di crisi sono uguali tra loro, in termini di bisogni e capacità di risposta. Esistono gruppi che subiscono maggiormente il peso della carenza di cibo ed acqua, di condizioni igienico-sanitarie precarie, di crollo dei servizi e delle infrastrutture, di anarchia legislativa: i bambini, le donne, gli anziani, i disabili, le minoranze etniche, religiose o politiche sono tutte categorie che, per motivi tra loro diversi, meritano un'attenzione particolare durante una situazione di crisi.

Secondo rapporti Unicef, i bambini sono i più esposti a shock emotivi derivanti da possibili violenze, dalla vista di morti e feriti, dalla perdita della casa o di altri beni materiali così come le donne sono spesso vittime di abusi e violenze, in situazioni di promiscuità e di debolezza istituzionale; Il manuale Sfera ricorda come gli anziani e i disabili abbiano una minore capacità di risposta e di adattamento, per ragioni fisiche e/o mentali e come le minoranze possano essere escluse da programmi governativi di soccorso e appoggio.

Pertanto, se è conveniente stabilire delle norme minime di comportamento e delle linee guida per gli interventi umanitari in contesti di emergenza (come il Manuale Sfera), non è possibile operare in maniera standardizzata tra un paese e un altro (laddove esistono diversità culturali, anch'esse da considerare) e senza prendere in considerazione le differenti esigenze dei gruppi più vulnerabili, nei confronti dei quali vanno individuate le barriere che ne ostacolano un accesso sicuro e duraturo ai programmi d'aiuto.

Il “Code of Conduct for the International Red Cross and Red Crescent Movement and Non-Governmental Organisations (NGOs) in Disaster Relief” detta in maniera chiara il ruolo della popolazione colpita durante l'aiuto umanitario in caso di emergenza: in particolare, l'articolo 10 invita a non considerare le persone colpite da un evento catastrofico come vittime rese incapaci dall'evento stesso e come tali meri beneficiari dei programmi di soccorso. L'articolo 7 pone l'attenzione sulla partecipazione comunitaria dei gruppi colpiti dalla crisi. È necessario riconoscere le loro capacita di risposta, accanto alla già citata analisi delle necessità e di punti di debolezza di ognuno; ciò affinché la persona stia al centro dell'aiuto umanitario non solo come beneficiario dell'aiuto, bensì in quanto protagonista attivo del proprio riscatto.

 

Emergenza e sviluppo

La gestione delle situazioni di crisi non comporta solamente l'intervento umanitario nella fase d'emergenza ma si inserisce, al contrario, in un più ampio contesto di cooperazione finalizzata allo sviluppo e alla lotta alla povertà. Si fa sempre più largo, tra le organizzazioni umanitarie internazionali (come il network NGO Voice, che raggruppa circa 90 ong europee), l'utilizzo del cosiddetto approccio LRRDLinking Relief to Rehabilitation and Development, ispirato alla filosofia per la quale lo sviluppo (development) può ridurre la necessità di interventi di soccorso (relief), così come un soccorso strutturato e professionale può gettare le basi per una successiva fase di sviluppo, attraverso la fase di riabilitazione post-emergenza (rehabilitation). Lo stesso Segretario Generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-Moon, sottolinea l'importanza dell'educazione alla prevenzione.

Un efficace gestione del rischio passa quindi attraverso le fasi di preparazione/prevenzione – soccorso – ricostruzione/riabilitazione – sviluppo; organizzazioni specializzate in contesti di emergenza stanno allargando il loro campo d'intervento ad azioni a più ampio raggio, strumentali alla ripresa del dialogo, alla pacificazione, alla creazione di una cultura di prevenzione, alla ricostruzione e all'avvio di percorsi di sviluppo. Questo, ad esempio, è stato l'approccio seguito dalla Croce Rossa Internazionale in occasione dello Tsunami del 2005.

Da un'analisi dei progetti attuati dalle ong che lavorano in contesti di emergenza, si evince come le diverse fasi di gestione del rischio siano attuate con la partecipazione attiva delle popolazioni beneficiarie e delle istituzioni e organizzazioni locali. Accade così che, quando possibile, le organizzazioni internazionali affianchino agli operatori espatriati anche personale autoctono, utilizzino materiali reperibili in loco, negozino con le imprese nazionali, collaborino con le organizzazioni umanitarie locali e con le strutture governative, promuovano programmi di addestramento e corsi di formazione per le squadre di soccorso sul posto. L'obiettivo di questo modus operandi è che l'azione di soccorso non venga percepita dalla popolazione colpita come un'imposizione o un intervento asettico studiato sulla scrivania di qualche ufficio, secondo una logica per la quale l'operatore umanitario fornisce l'aiuto e la vittima lo riceve.

Al contrario, l'evidenza empirica dei progetti messi in atto rileva come la gestione della crisi è più efficace laddove le comunità beneficiarie partecipano in prima persona sia all'elaborazione che alla realizzazione del piano d'emergenza. Anche e soprattutto con proprie risorse umane e finanziarie. Ciò pone le basi per una futura riduzione della vulnerabilità della comunità colpita, in direzione di una maggiore sostenibilità, intesa come capacità della popolazione locale di proseguire autonomamente nella fase di sviluppo, senza la necessità dell'appoggio esterno.

 

Fondi e visibilità

L'emergenza è mediatica. Ong ed agenzie internazionali lo sanno. Accade così che per il terremoto, lo tsunami e la diga che crolla, si aprano centinaia di conti correnti per la raccolta fondi, vengano stanziati fondi pubblici, si ricorra allo sms solidale. Un dedalo in cui spesso è difficile districarsi e in cui non mancano sprechi. Contro questo rischio, Vita lancia la proposta di istituire un registro nazionale delle raccolte fondi, che segnali con chiarezza chi abbia titolo per organizzare raccolte di denaro da destinare alle emergenze.

Come per le guerre, anche per le emergenze sembrano esistere diversi livelli di mediaticità. Alcune di esse, per gravità degli eventi, per la posizione geografica del paese colpito, per la presenza o meno di cittadini italiani coinvolti, meritano l'attenzione di giornali e televisioni; molte altre, più difficili da raccontare, ricevono dai media una copertura occasionale e fugace. Lo segnala da alcuni anni il "Rapporto sulle crisi dimenticate" di Medici senza Frontiere - giunto nel 2008 alla quinta edizione - che evidenzia tra l'altro "la tendenza, da parte dei media nazionali, di parlare di contesti di crisi soprattutto laddove riconducibili a eventi e/o personaggi italiani o comunque occidentali".

Sorte analoga spetta a taluni interventi umanitari, dove l'attenzione dei donatori si concentra spesso sulle situazioni meglio coperte mediaticamente. Più facile dunque ottenere fondi per situazioni di crisi a seguito di guerre, scontri violenti o fenomeni naturali particolarmente devastanti; più complicato invece finanziare, ad esempio, la ventennale cooperazione universitaria tra Italia e Mozambico che sforna decine di medici africani da inserire negli organici del locale Ministero della Salute. Il risvolto mediatico delle emergenze è infatti quello di indurre a devolvere risorse più per i bisogni urgenti che per i diritti persistenti. La Carta di Trento per una migliore cooperazione internazionale suggerisce di invertire questa tendenza.

Anche la politica, dovrebbe contribuire: andando nella direzione opposta al “caritatismo popolare” su base mediatica allocando fondi programmati e non stornabili alla cooperazione di relazione che, peraltro e spesso, permettono l’implementazione di serie politiche di prevenzione delle emergenze.

 

Bibliografia utile

- Manuale per la gestione del rischio e risposta in caso di emergenza redatto da ECHO, CISP, CRIC E Terra Nuova (in .pdf)

- Programmi di educazione in contesti di emergenza: l'esperienza di Save the Children (in .pdf)

- Report 2008 di Unicef sulle emergenze nel mondo (in .pdf)

- Conferenza mondiale per al riduzione dei disastri, Hyogo – Giappone, Gennaio 2005 (in .pdf)

- Carta di Trento per una migliore cooperazione (in .pdf)

 

(Scheda realizzata con il contributo di Andrea Dalla Palma)

E' vietata la riproduzione - integrale o parziale - dei contenuti di questa scheda su ogni mezzo (cartaceo o digitale) a fini commerciali e/o connessi a attività di lucro. Il testo di questa scheda può essere riprodotto - integralmente o parzialmente mantenendone inalterato il senso - solo ad uso personale, didattico e scientifico e va sempre citato nel modo seguente: Scheda "Emergenze" di Unimondo: www.unimondo.org/Guide/Sviluppo/Emergenze

Istituzioni e Campagne

Internazionali e nazionali

  • ISDR (International Strategy for Disaster Reduction): programma delle Nazioni Unite che si occupa di prevenzione e preparazione in caso di situazioni di disastro.
  • Reliefweb: portale internazionale dedicato alle emergenze umanitarie mondiali.
  • Echo (European Commision Humanitarian Aid): Ufficio d'aiuto umanitario della Commisione Europea, il maggior donatore mondiale per progetti d'emergenza.
  • Croce Rossa Internazionale
  • Protezione Civile Italiana
  • Progetto Sfera
  • Agire: Agenzia Italiana per la Risposta alle Emergenze
  • Psicologi per i Popoli: Federazione di psicologi italiani che si occupa di psicologia dell'emergenza.

Video

Unicef: Rapporto emergenze 2008