Ancora una volta nessun leader di successo in Africa

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È noto che in Africa esiste una grande disparità tra la ricchezza del continente e la povertà della popolazione che lo abita. Se questa constatazione è ampiamente condivisa, molteplici sono i mezzi ideati per farvi fronte. I Paesi più ricchi cercano di innescare lo sviluppo attraverso la cooperazione, tenendo a mente i parametri dell’Indice di sviluppo umano che coniuga all’aumento del Pil il pari potenziamento della tutela dei diritti umani e dell’ambiente. In pochi si concentrano sul fondamentale aspetto della formazione, innanzitutto dei quadri amministrativi se non di quelli dirigenziali. È stato l’imprenditore sudanese Mo Ibrahim ad accendere i riflettori su quest’aspetto nel marzo 2011 in un incontro dell’Università del Ghana, attribuendo la responsabilità della povertà delle popolazioni africane “al catastrofico fallimento della leadership e della capacità di governo […] troppi dittatori, troppi megalomani, troppi ladri che sfruttano il continente per i loro interessi personali e familiari”. Il miliardario uomo di affari non era nuovo a queste affermazioni, specie dopo averle tradotte in concrete azioni con la creazione nel 2007 del cosiddetto Premio Ibrahim, ufficialmente “Premio per il successo nella leadership in Africa”. Non si tratta di una carica onorifica o puramente simbolica: il premio consiste in un assegno di 5 milioni di dollari a cui si aggiunge un vitalizio di 200.000 dollari l’anno per il vincitore. Cifre che superano di gran lunga il più noto Premio Nobel per la Pace, il cui importo è pari a 1,3 milioni di dollari (una tantum).

Sinora il Premio è stato conferito nel 2007 a Joaquim Chissano, ex presidente del Mozambico dal 1986 al 2005, premiato per avere favorito “la pace, la riconciliazione, la democrazia stabile e il progresso economico dopo la guerra civile”; nel 2008 a Festus Mogae, ex presidente del Botswana dal 1998 al 2008, per avere “consolidato la stabilità e la prosperità del suo Paese nonostante la pandemia di HIV/AIDS che ha minacciato il futuro del suo popolo”; e nel 2011 a Pedro Pires, ex leader di Capo Verde (Primo Ministro dal 1975 al 1991 e poi presidente dal 2001 al 2011), per avere “trasformato la piccola isola in un modello di democrazia, stabilità e prosperità”. Una menzione a parte è per Nelson Mandela che ha ricevuto il premio onorario della Fondazione alla sua creazione poiché ritenuto “uno dei leader più eccezionali del nostro tempo. Durante una vita di sacrificio personale, si è dedicato alla lotta contro l’apartheid in Sudafrica, e ha servito come primo presidente di quel Paese”.

Come si legge sul sito della Fondazione Ibrahim, il Premio può essere assegnato solo a un ex capo di Stato o di governo di un paese africano, che sia stato in carica almeno tre anni – ma solo dopo essere stato eletto democraticamente – e che abbia dimostrato di avere qualità di leadership “eccezionali”, diventando un modello per tutto il continente. Condizioni che, secondo il prestigioso Comitato internazionale che si occupa dell’assegnazione, non si sono verificate per la quarta volta negli ultimi cinque anni. Nessuno dei capi di Stato che hanno lasciato il potere negli scorsi tre anni ha migliorato la situazione sanitaria, scolastica, economica e politica del suo Paese.

I dati riportati sull’Indice di Ibrahim, ideato proprio per misurare la governance, attribuiscono un ranking numerico a tutti i 53 governi del continente africano sulla base di alcune categorie generali: sicurezza e stato di diritto; partecipazione e diritti umani; sostenibilità economica; sviluppo umano. Se nell’Indice del 2013 quest’ultimo aspetto appare in netto miglioramento, in ben 32 Paesi si rileva un peggioramento dell’ambito della sicurezza e dello stato di diritto. Da una parte si evidenziano storie di vero successo, come quelle di Mauritius, Botswana e Ghana, dall’altra aumenta il divario tra i Paesi virtuosi e quelli che stanno agli ultimi posti nella classifica come Somalia, Repubblica Democratica del Congo ed Eritrea.

La vera sfida è favorire lo sviluppo anche in questi Paesi. E di certo il messaggio di Mo Ibrahim, patron della telefonia mobile africana Celtel, per un impegno di governanti e governati a gestire e pretendere sistemi di governo e strumenti democratici non si ferma, come si è visto, all’orgoglio per il fatto che la sua compagnia telefonica abbia contribuito a dar forza e notorietà alle manifestazioni della primavera araba in tutto il Maghreb.

Miriam Rossi

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