Sicurezza alimentare nell’UE: dalla bistecca alle multinazionali?

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Dopo più di vent’anni di controversie si è finalmente conclusa una tra le più importanti dispute commerciali che ha visto l’Unione Europea scontrarsi con Stati Uniti e Canada: la cosiddetta guerra della bistecca. Lo scorso 14 marzo, infatti, il Parlamento Europeo ha approvato con 650 voti a favore, 11 contrari e 11 astensioni, un accordo che permette all’Unione Europea di mantenere il divieto d’importazione di carni bovine trattate con determinati ormoni della crescita e steroidi. Tale divieto era stato introdotto nel 1988 ricorrendo al controverso principio di precauzione che consente di impedire il commercio di prodotti che non hanno ottenuto la completa approvazione di sicurezza da parte della comunità scientifica internazionale. Nel caso in questione, diversi studi avevano evidenziato una possibile connessione tra l’accelerazione dello sviluppo sessuale nei bambini e il consumo di carne bovina trattata con ormoni. Tuttavia, la mancanza di prove incontrovertibili di rischio spinse, nel 1996, Stati Uniti e Canada (gli esportatori più colpiti da questo divieto) a presentare ricorso all’organo di conciliazione dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) che, ritenendo il comportamento dell’UE una violazione dei principi di libero scambio, autorizzò Stati Uniti e Canada ad applicare sanzioni commerciali su svariati prodotti europei. Tale decisione, è facile immaginarlo, ha contribuito più a un inasprimento delle relazioni commerciali che ad una riconciliazione.

L’accordo di marzo rappresenta l’ultimo atto di un processo di distensione dei rapporti commerciali transatlantici iniziato verso la fine degli anni 2000 ed è rilevante poiché può essere definito come una win-win solution, ossia una decisione vantaggiosa per tutte le parti coinvolte. L’Unione Europea non solo potrà legittimamente mantenere il divieto d’importazione di carne bovina trattata con ormoni, ma potrà anche liberamente esportare negli USA e in Canada prodotti quali carne bovina e suina, formaggio Roquefort, cioccolato, succhi di frutta, marmellate e tartufi, il cui valore è stimato in oltre 250 milioni di dollari. In contropartita, da agosto 2012, l’Europa dovrà aumentare le importazioni di carne bovina di alta qualità proveniente da Stati Uniti e Canada fino a 48.200 tonnellate. Secondo i dati forniti dal Parlamento Europeo, i principali beneficiari della revoca delle sanzioni sui prodotti a marchio UE saranno Italia (con un valore commerciale di oltre 99 milioni di dollari), Polonia (25 milioni), Grecia e Irlanda (24 milioni ciascuno), Germania e Danimarca (19 milioni ciascuno).

Il felice epilogo della vicenda della carne agli ormoni rischia però di rimanere un caso isolato nella politica di sicurezza alimentare dell’Unione Europea. Da almeno un decennio, infatti, stiamo assistendo ad un’incessante crescita del potere delle multinazionali dell’industria alimentare che, attraverso un’intensa attività di lobby, ha spinto l’Unione Europea a fare sempre meno ricorso al principio di precauzione. Il funzionamento e la membership dell’ autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) sono da tempo nel mirino di associazioni come Corporate Europe Observatory e Earth Open Source, rispettivamente fondazione no-profit che analizza l’attività di lobby svolta dalle multinazionali nei confronti dell’UE e ONG britannica che promuove la sostenibilità del sistema alimentare. Nel rapporto “Conflicts on the menu esse hanno messo in luce la mancanza di indipendenza scientifica nei pareri espressi così come importanti conflitti d’interesse di molti membri dell’agenzia.

Spesso, infatti, si è verificata un’accettazione acritica di dati forniti dall’industria e, contemporaneamente, sono stati ignorati o respinti i risultati di studi indipendenti in casi quali la valutazione del rischio del bisfenolo A (sostanza chimica usata come rivestimento delle lattine di alimenti), dell’aspartame o dei livelli dei residui minimi di glifosato (sostanza base dell’erbicida più venduto al mondo). Per quanto riguarda la membership, ci si interroga su quanto possa essere legittimo il cosiddetto fenomeno delle porte girevoli, ovvero il passaggio di dirigenti dall' industria alimentare e degli ogm all'agenzia stessa e viceversa.

Dopo i casi di Suzy Renckens (passata dall’EFSA aSyngenta, multinazionale svizzera produttrice mondiale di piante ogm) e di Laura Smille (assunta dall’EFSA dopo aver lavorato presso un’organizzazione finanziata da Coca-Cola, Danone, Kraft Foods, Mars McDonald, Nestlé e Unilever), l’ultimo in ordine cronologico è quello della candidatura di Mella Frewen (ex lobbista per la multinazionale delle sementi Monsanto e attualmente a capo di FoodDrinkEurope, lobby dell’industria agroalimentare) come membro del consiglio di amministrazione dell’EFSA. L’aggravarsi della situazione ha incrementato il livello di attenzione e di preoccupazione della Corte dei Conti e del Parlamento Europeo. Lo scorso 27 marzo, la commissione Bilancio ha rinviato l’approvazione del budget di EFSA ad un momento successivo alla pubblicazione da parte della corte dei conti dell’inchiesta sul conflitto d’interessi delle agenzie europee. Contemporaneamente, la Commissione Europea ha previsto di rivedere il regolamento istitutivo dell’EFSA.

L’opacità del modus operandi e il grave conflitto d’interessi di EFSA rischiano di minare la salute dei consumatori europei e per questo motivo occorre che le istituzioni europee diano una risposta decisa e rapida ai cittadini. La risoluzione con un accordo di tipo win-win della guerra della bistecca dimostra che è possibile conciliare il principio di precauzione con il libero commercio internazionale. Ovviamente le multinazionali hanno il diritto di esercitare influenza sulle istituzioni, ma non è opportuno che operino al contempo da giocatori e da arbitri.

Eleonora Alessia Fenu

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