Perché gli scontri per il cibo potrebbero diventare la normalità

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A due anni dalle dimissioni del dittatore Hosni Mubarak poco è cambiato in Egitto. Piazza Tahrir è rimasto il luogo di scontri ininterrotti fra dimostranti e forze di sicurezza, nonostante un presidente neo eletto. Lo stesso accade in Tunisia e in Libia, dove le proteste e le manifestazioni sono continuate dopo che sono stati eletti governi apparentemente democratici.

Il problema è che i cambiamenti politici portati dalla primavera araba sono stati quasi soltanto apparenti. Piccoli graffi superficiali, che hanno lasciato intatta la terribile combinazione di crisi ambientale, energetica ed economica.

Ormai sappiamo che il detonatore fondamentale della primavera araba è stato un aumento dei prezzi alimentari mai visto prima. Alcuni segnali c’erano stati nel 2008, quando una crisi delle scorte di riso aveva coinciso con un forte aumento dei prezzi degli alimenti di base, dando luogo a proteste di massa in Medio Oriente, nord Africa e Sud Est asiatico. Un mese prima della caduta del regime egiziano e di quello tunisino, la FAO ha registrato aumenti record dei prezzi alimentari per latticini, carne, zucchero e cereali. A partire dal 2008 i prezzi alimentari sono stati molto più alti che nei decenni precedenti, nonostante grosse oscillazioni. Quest’anno, anche se i prezzi si sono stabilizzati, l’indice dei prezzi alimentari resta a 210, che secondo alcuni esperti è la soglia oltre la quale i moti di piazza diventano probabili. La FAO ha affermato che nel corso del 2013 potrebbero verificarsi aumenti dei prezzi a causa degli stock di grano ridotti per via del maltempo dello scorso anno.

Che accada o meno quest’anno, la volatilità dei prezzi alimentari è soltanto il sintomo di un problema più profondo, ovvero che il sistema dell’industria alimentare mondiale è sempre più insostenibile. L’anno passato nel mondo sono state prodotte 2.241 milioni di tonnellate di grano, 75 milioni di tonnellate in meno rispetto al 2011, un calo pari al 3%.

La questione principale, ovviamente, è il cambiamento climatico. La siccità esacerbata dal riscaldamento globale in regioni fondamentali ha già provocato un calo dei raccolti del 10-20% negli ultimi dieci anni. L’anno scorso i quattro quinti degli Stati Uniti hanno subito un caldo record, in Russia e in Africa ci sono stati lunghi periodi di siccità, in India un monsone più leggero e in Pakistan inondazioni. […]

Il Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti stima che i prezzi alimentari aumenteranno quest’anno del 3-4%, previsione condivisa dalla Gran Bretagna. Ma attenzione, per chi vuole continuare a far finta di niente questa è semplicemente la nuova normalità. Nel complesso, il consumo globale di grano ha superato la produzione in otto degli ultimi tredici anni. Entro la metà del secolo i raccolti di potrebbero diminuire fra il 20 e il 40% solo per il cambiamento climatico.

Ma il clima non è l’unico problema. I metodi dell’industria agricola stanno violando i limiti biofisici del terreno. La produttività dei terreni agricoli del mondo fra il 1990 e il 2007 era l’1,2% all’anno, quasi la metà del 2,1% fatto registrare nel periodo 1950-1990.

Il 2008 ha rappresentato anche un cambiamento verso una nuova era di volatilità e di aumento della benzina. I prezzi alti dei carburanti continueranno a indebolire l’economia globale, soprattutto in Europa, ma continueranno anche ad alimentare un sistema alimentare dipendente dai carburanti. Al momento qualsiasi settore dell’industria alimentare è pesantemente dipendente dai carburanti fossili. A completare il quadro, la speculazione predatoria sul cibo e su altre commodity da parte delle banche fa aumentare i prezzi, aumentando i profitti a scapito di milioni di poveri in tutto il mondo.

Nel contesto di economie distrutte dai debiti ecco la tempesta perfetta di problemi che garantisce prezzi alti, che potrebbero a loro volta far scaturire rivolte di piazza nel prossimo futuro.

È solo questione di tempo, ma il cocktail fatale di sfide climatiche, energetiche ed economiche investirà anche i regni del Golfo, dove l’Arabia Saudita si confronta con un tasso di esaurimento medio di carburante del 29%. Se gli introiti provenienti dal carburante si ridurranno negli anni a venire, questo causerà una diminuzione degli aiuti per cibo e carburante. Abbiamo già visto quali risultati ne possono conseguire, per esempio in Egitto, dove la produzione di carburante ha raggiunto nel 1996 il minimo storico, e ha prodotto una riduzione della spesa del governo per i servizi, oltre a far aumentare il debito.

Il legame fra ineguaglianza, debito, cambiamento climatico, dipendenza dai carburanti fossili e la crisi alimentare globale ormai è innegabile. Con la continua crescita della popolazione e dell’industria, la crisi alimentare può soltanto peggiorare. Se non facciamo qualcosa, secondo un sorprendente studio della Royal Society, potremmo avere a che fare con il crollo della civiltà entro questo secolo.

La primavera araba è solo un assaggio di quello che ci aspetta.

Nafeez Mosaddeq Ahmed

Fonte: slowfood.it

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