I braccianti Sikh dell’Agropontino: il Khalistan è ancora lontano

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Chissà se Aroor Singh, leader del KLF (Khalistan Liberation Force), lo immaginava così il Khalistan, la “terra promessa”, lo stato indipendente del popolo Sikh da conquistare con la lotta, anche armata. La repressione del movimento rivoluzionario costò la vita a Indira Gandhi, uccisa dalle sue guardie del corpo Sikh nel 1984. Da allora il sogno di uno stato libero è svanito per sempre.

Molti hanno preferito partire alla ricerca di fortuna o di un lavoro con cui sostenere la famiglia rimasta in patria. Alcuni hanno scelto l’Italia e vi abitano da circa vent’anni. La comunità religiosa Sikh in provincia di Latina arriva perlopiù dallo stato indiano del Punjab (la “terra dei cinque fiumi”) – al confine con il Pakistan – e per dimensioni è la seconda in Italia, dopo quella dell’Emilia Romagna. Qui il Khalistan è lontano. In alcuni bar della zona, fanno bella mostra busti di Mussolini e croci celtiche. Souvenir di un passato fascista, che in questi luoghi è scritto nell’architettura razionalista, nei nomi dei borghi e nelle epigrafi di marmo che ricordano la bonifica.

Dodicimila persone secondo i dati ufficiali, il doppio secondo i sindacati di zonaI Sikh sono quasi tutti impiegati in agricoltura come braccianti. Turbanti colorati e barbe lunghe chine su ravanelli e meloni nelle serre o su piante e fiori nei vivai, per paghe da fame e contratti grigi. Qui è la terra ad offrire lavoro. E chiunque abbia ettari da coltivare si sente in diritto di farsi chiamare “padrone”.

Una tratta di esseri umani regolarizzata, definita “grigio-nera” da Marco Omizzolo, ricercatore della cooperativa InMigrazione ed Eurispes, che da poco ha pubblicato, insieme alla professoressa Fiammetta Fanizza, il saggio Caporalato. An authentic agromafia. «Il trafficante, in accordo con i datori di lavoro, recluta i braccianti indiani nel Punjab, millantando un benessere futuro, con lo scopo di convincere famiglia e lavoratore a partire – commenta Omizzolo – Nel pacchetto: il permesso di soggiorno, l’alloggio, il biglietto aereo e il posto di lavoro. Il tutto per una cifra che varia dai 7 ai 15mila euro, che o vengono pagati tutti in una volta o vanno a trasformarsi in debito».

I piccoli villaggi del Punjab, una delle zone più fertili e ricche dell’India, si sono fatti spazio nei comuni dell’Agro Pontino tra Latina, Pontinia, Aprilia, Bella Farnia, Sabaudia, Borgo Hermada, San Felice al Circeo, Terracina e Fondi. L’arrivo dei Sikh in questi luoghi ha fatto la fortuna di molti italiani che affittavano le proprie case ai romani o ai napoletani in vacanza fino agli anni Novanta. Il “Residence Bella Farnia Mare” è un tetris di case e cortili abitato da circa tremila braccianti. Doveva essere un residence per famiglie ma è fallito e ora in ogni locale, ci abitano tra le 4 e le 5 persone, perlopiù braccianti.

Qui più che altrove è facile incontrare donne sikh, che solo da qualche anno a questa parte hanno iniziato a lavorare nei campi.«Per alcune di loro è umiliante lavorare nella raccolta, perché nel Punjab le donne sono più istruite degli uomini – spiega Hardeep Kaur, sindacalista Flai Cgil indiana, nata in Italia – Ma pian piano molti tabù della comunità stanno crollando». Le donne nei campi sono doppiamente sfruttate, perché guadagnano meno degli uomini e subiscono molestie. Omizzolo racconta di aver raccolto molte storie di questo tipo, ma la parte difficile, in un sistema di sfruttamento simile, è avere la forza di denunciare. Perché, poi, come si lavora?

Punto di riferimento della comunità Sikh è il Gurudwara, cioè il tempio, aperto a tutti purché ci si copra il capo. Decine di ex capannoni agricoli nell’Agro Pontino sono diventati luoghi di culto, socialità e dibattito politico. Baba Amargit Singh è il prete del tempio di San Vito. Ha 28 anni e mentre è intento a fare il bucato, racconta che anche nel Punjab svolgeva le funzioni religiose. I preti dormono all’interno del tempio, lo proteggono come fosse casa e offrono molti servigi alla comunità. Amargit ama sottolineare il carattere di apertura della religione Sikh.

«Il tempio d’Oro nel Punjab – simbolo della religione Sikh – ha 4 porte, che simboleggiano l’importanza dell’accettazione degli altri culti». Nei templi si parla di lavoro, diritti e politica e sembra rinascere lo spirito del Khalistan. In fondo è anche qui che ha preso vita il primo sciopero dei lavoratori Sikh nell’aprile 2016 contro lo sfruttamento. Lotte che sembrano non avere mai fine.

Di Maria Panariello da: Ilpaesesera.it

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