Agromafie e Caporalato: l'altra faccia della crisi

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Cresce il legame tra criminalità organizzata e settore agricolo. A pagarne il prezzo più alto continuano a essere i lavoratori. Mentre peggiora la situazione dei lavoratori stagionali impiegati nel settore agricolo, caporalato e illegalità non conoscono crisi alimentati dal sommerso, dalla precarietà crescente e dalla disperazione di chi sbarca in Italia con in tasca la sola speranza di una vita migliore.

Il recente rapporto Agromafie e Caporalato, a cura dell’Osservatorio Placido Rizzotto e presentato qualche giorno fa a Roma da Flai Cgil, ci restituisce una fotografia del fenomeno affatto rassicurante. Il caporalato diventa terreno fertile per attività illegali, ambito di interesse privilegiato per la criminalità organizzata, inizia a coinvolgere anche l’export di qualità (in particolare nel settore vitivinicolo) e sempre più spesso si lega ad altre forme di reato come le gravi sofisticazioni alimentari, la riduzione in schiavitù e «forme di sfruttamento lesive persino dei più elementari diritti umani».
La ricerca ha coinvolto 14 Regioni e 65 province, tracciando i flussi stagionali di manodopera e gli epicentri delle aree a rischio (scarica qui le mappe). Lungo lo stivale non paiono esserci zone franche e il fenomeno è fortemente diffuso su tutto il territorio da Sud (in Puglia, Basilicata, Calabria, Campania e Sicilia) a Nord, soprattutto in Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna, Toscana, Veneto e Lazio. Terreno fertile sarebbe quel 43% di sommerso occupazionale rilevato dall’Istat nel settore agricolo: un vero e proprio esercito di 400 000 persone, di cui 100 000 (soprattutto straniere) costrette a forme di ricatto quotidiane e a vivere in condizioni limite.

L’Osservatorio ha inoltre individuato le principali attività illecite delle mafie in relazione al settore agroalimentare: estorsioni, usura a danno degli imprenditori, furti, sofisticazioni alimentari, infiltrazione nella gestione dei consorzi per condizionare il mercato e falsare la concorrenza. La contraffazione alimentare è aumentata del 128% negli ultimi dieci anni, mentre il giro d’affari di derivato dalla speculazione dell’Italian branding ammonta a circa 60 miliardi.

Gli introiti per le agromafie si aggirano tra i 12 e i 17 miliardi di euro l’anno, circa il 10% dei guadagni della criminalità mafiosa, così come quantificato dalla Commissione Antimafia. Non è un caso che dal 2008 le aziende confiscate alla criminalità siano aumentate del 65 per cento. Purtroppo però, sono ancora i lavoratori a pagare il maggior prezzo: circa 80.000 sono stati licenziati dopo un provvedimento di confisca definitiva.

Una sintesi del rapporto è disponibile qui. Qui le mappe a cura dell’Osservatorio Placido Rizzotto e qui alcuni dati su agromafie e caporalato

Michela Marchi da Slowfood.it

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