“Se la vita è un viaggio noi vogliamo farlo in bicicletta”

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C’è un altro Giro d’Italia ad animare la primavera del Belpaese. Non arriverà il 27 maggio a Roma con una sola maglia rosa e dopo 3.562 Km, ma con tante "maglie rosa" tutte assieme, domani, a Mazzaro del Vallo dopo “soli” 3.000 Km. È la staffetta Life - In marcia per la vita, giunta quest'anno alla sua decima edizione ed organizzata dall’Associazione Sport e Comunità, benemerita del Comitato Olimpico Nazionale Italiano (Coni), dove a pedalare ogni giorno in tappe giornaliere di circa 100 Km, sono stati i ragazzi e le ragazze delle comunità italiane che hanno avviato un percorso per uscire della tossicodipendenza. Partita da Asti il 21 aprile, l’edizione 2018 di questa particolare staffetta ha attraversato l’Italia per sensibilizzare l’opinione pubblica sui temi del disagio giovanile e raccontare l’impegno di chi si cura dalle dipendenze anche attraverso lo sport, un’attività spesso utile nella prevenzione dell'abuso di droghe e più in generale in tutte le condotte disfunzionali dei più giovani.

Come ogni anno Life – In marcia per la Vita è stata l’importante testimonianza di chi ha deciso di provare a curarsi ed un invito a non stigmatizzare e ignorare i problemi legati alla tossicodipendenza. Per questo l’incontro lungo le strade d’Italia con le tante persone non sempre a conoscenza dell’impegno di molte strutture nel recupero dei giovani attraverso lo sport è stato fondamentale. “Promuovere e valorizzare la pratica dello sport e l'attività motoria sono fattori determinanti per la salute e il benessere delle persone e delle comunitàha ricordato l'assessore al Diritto alla salute, al welfare e all'integrazione socio-sanitaria della Regione Toscana Stefania Saccardi durante le tappe toscane di inizio mese. “Lo sport è salute, aiuta nel recupero della forma fisica e dell'equilibrio psicologico. Ma non solo. Aiuta a costruire relazioni significative, favorisce l'inclusione sociale, educa al rispetto delle regole, alimenta il senso di comunità e di appartenenza”.

Certo lo sport da solo non basta davanti una piaga sociale dai numeri ancora importanti. In Toscana, per esempio, nel 2017 sono state 16.697 le persone in carico ai servizi sanitari per problemi di dipendenza da sostanze stupefacenti. Le persone con problemi di alcol dipendenza sono state invece 5.338; 3.500 le persone con problemi di dipendenza da tabacco; 1.465 le persone con problemi di gioco d’azzardo patologico; 1.000 i detenuti tossico o alcol dipendenti; 1.120 le persone tossico o alcol dipendenti che hanno usufruito di percorsi assistenziali nelle comunità residenziali e semiresidenziali. Per invertire questa tendenza è fondamentale non solo l’impegno delle comunità terapeutiche, ma anche l’impegno della Regione, dello Stato e della società civile, attori indispensabili per contrastare tutte le tipologie di dipendenze. Per questo l’organizzazione della marcia attraverso il meccanismo della staffetta ha voluto rinforzare la consapevolezza che il cammino di questi determinati ciclisti è interdipendente alla sensibilità e all’attenzione di una cittadinanza capace di accompagnare e condividere con loro le medesime finalità, anche se alla fine gli “unici” protagonisti del proprio destino sono stati i ragazzi e le ragazze decisi ad uscire dalla tossicodipendenza "in bicicletta".  

“Il percorso si pone la finalità di sensibilizzare l’opinione pubblica sui temi del disagio giovanile e del ricorso alle droghe - ha spiegato Claudio Ciampi, presidente dell'associazione Sport e Comunità - ma anche di aprire le comunità e i centri pubblici e privati impegnati nel recupero di tanti giovani al confronto con le associazioni sportive e la gente”. In questo senso, per i protagonisti di questo particolare “Giro d’Italia”, la bicicletta non è stata competizione, ma un’occasione, “uno strumento che ci permette di conoscersi esplorando il mondo. Life ci ha permesso, in questi anni, di incontrarci con centinaia di persone che ci hanno mostrato solidarietà e hanno condiviso con noi una parte del nostro percorso”. “Se la vita è un viaggio noi vogliamo farlo in bicicletta” hanno spiegato i protagonisti prima di mettersi in sella il 21 aprile. 

Questa bella e riuscita iniziativa mi ha ricordato il documentario di Mirko Giorgi Alessandro Dardani che ho avuto la fortuna di vedere lo scorso mese in occasione del Trento Film Festival. “La madre del nervi” racconta la storia di Alice, Lucia, Hana, Fliutra e Giselle, ragazze madri con gravi problemi di dipendenza dalla droga in cura alla Comunità Aurora di Venezia e impegnate in un protocollo terapeutico rigoroso, in cui sono previste anche attività outdoor come il trekking e soprattutto l’arrampicata. Un modo salutista per spezzare la routine e vivere emozioni forti, ma non solo. L’incontro con Massimo Galiazzo, l’alpinista educatore che a Padova ha fondato Equilibero un’associazione che si occupa di montagnaterapia, ha trasformato il loro rapporto con la montagna in qualcosa che va ben oltre la lezione sportiva, con risultati riabilitativi sorprendenti per alcune di loro. Queste ragazze appese in parete assieme ai molti ragazzi in sella alle loro biciclette hanno saputo testimoniare che dalla droga si può uscire e che insieme, anche con l’aiuto dello sport e a contatto con l’ambiente, lo si può fare ancora meglio

Alessandro Graziadei

Sono Alessandro, dal 1975 "sto" e "vado" come molti, ma attualmente "sto". Pubblicista, iscritto all'Ordine dei giornalisti dal 2009 e caporedattore per il portale Unimondo.org dal 2010, per anni andavo da Trento a Bologna, pendolare universitario, fino ad una laurea in storia contemporanea e da Trento a Rovereto, sempre a/r, dove imparavo la teoria della cooperazione allo sviluppo e della comunicazione con i corsi dell'Università della Pace e dei Popoli. Recidivo replicavo con un diploma in comunicazione e sviluppo del VIS tra Trento e Roma. In mezzo qualche esperienza di cooperazione internazionale e numerosi voli in America Latina. Ora a malincuore stanziale faccio viaggiare la mente aspettando le ferie per far muovere il resto di me. Sempre in lotta con la mia impronta ecologica, se posso vado a piedi (preferibilmente di corsa), vesto Patagonia, ”non mangio niente che abbia dei genitori", leggo e scrivo come molti soprattutto di ambiente, animali, diritti, doveri e “presunte sostenibilità”. Una mattina di maggio del 2015 mi hanno consegnato il premio giornalistico nazionale della Federazione Italiana Associazioni Donatori di Sangue “Isabella Sturvi” finalizzato alla promozione del giornalismo sociale.

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