“Personare”. Diventare concerto in un mondo sconcertato

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«Credo profondamente nella mediazione, non tanto per un approccio di tipo politico. È la mia esperienza privata che mi ha fatto capire che senza mediazione è difficile concepire un rapporto tra un padre e un figlio, tra un marito e una moglie, tra un fratello e una sorella, tra individui in generale […]. Gli esseri umani sono molto diversi tra loro, e senza mediazioni non è facile trovare un punto di incontro. […]. Per me la mediazione è coesistenza, è la capacità di vivere assieme. E questo vale per due individui, come per due popoli».

È la convinzione di un grande scrittore israeliano, Amos Oz: la nostra quotidianità ha bisogno della mediazione e nessuna è escluso dalla necessità di apprendere e diventare competente in quest’arte. L’alternativa, per i singoli ma anche per le macro-identità culturali, per i popoli, è quella di essere “isole”. Ma – e qui mi permetto subito un’affermazione - “nessun uomo è un’isola!”. 

“No Man is an Island”, “Nessun uomo è un’isola”, è il titolo di un mirabile poemetto scritto quattro secoli fa, ma potrebbe essere oggi, dal grande poeta inglese John Donne (1572-1631). Vi hanno poi attinto personaggi assolutamente diversi come lo scrittore e indomito viaggiatore Ernest Hemingway (1899 - 1961) e il monaco trappista Thomas Merton (1915-1968), amante di viaggi di altro tipo, che quasi paradossalmente ti conducono lontano anche se stai fermo. 

Ecco i versi che più ci interessano: “Nessun uomo è un’isola/ completo in se stesso/ ogni uomo è un pezzo del continente/ una parte del tutto./ Se anche solo una zolla venisse lavata via dal mare/ l’Europa ne sarebbe diminuita/ come se le mancasse un promontorio/come se venisse a mancare una dimora di amici tuoi/ o la tua stessa casa./ La morte di qualsiasi uomo mi sminuisce/ perché io sono parte dell’umanità./ E dunque non chiedere mai per chi suona la campana:/ suona per te”.

Il testo fa parte della raccolta “Devozioni per occasioni di emergenza”. Che titolo attualissimo! “Occasioni d’emergenza” sono all’ordine del giorno: le troviamo a casa nostra, per le strade del nostro villaggio, nella nostra città, nella nostra Europa, nei successi e nei fallimenti, nei nostri mari e nei nostri porti, sulle nostre spiagge, ai confini dei nostri Paesi, in chi entra e in chi esce, in chi resta, nei continenti e nelle isole. Specialmente in chi è “isola”, in chi “si isola” e in chi “viene isolato”. Emergenza esistenziale, culturale, politica, educativa: “nessun uomo è un’isola!”. Un’istanza antropologica, spesso negata dalla realtà, che necessita perciò del sostegno dell’educazione.

Come fare? Abbiamo proprio bisogno di poesia: di fronte alla vita inquietante che ci rintocca intorno, possiamo dirci reciprocamente: “Essa ‘suona per te’: ‘nessun uomo è un’isola’, anche tu puoi essere concerto”. Ma sappiamo che, nel suo fluire facilmente prosaico, il vivere odierno è spesso anestetizzato, senza estetica, senza poesia. Senza concerto. Siamo sconcertati: una parola che esprime il disorientamento individuale e culturale, psicologico e politico. Sconcerto che è solitudine, shock esistenziale e relazionale di fronte ai naufragi metaforici e reali nei mari senza bussola delle navigazioni quotidiane. 

Da tempo ormai ci viene suggerito un orientamento: educazione alla cittadinanza globale. Progetto ambizioso. Farci uscire dalle forme di isolamento, dall’arcipelago immobile delle intolleranze e delle reciproche esclusioni, per riconsegnarci un “luogo” antropologico, culturale, politico alternativo: un palcoscenico interculturale ancora abitato dal creativo concertare dell’umanità. Aiutarci a “personare” - può passare questo neologismo? - a suonare-per, diventando “persone”, cioè cittadini mediatori di umanità. Alziamo il sipario!

Bepi Milan

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