Lavoro e tecnologia, le sfide del digitale

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Foto: Unsplash.com

Quest’anno più che mai siamo stati forzati ad accorgerci dello stretto rapporto che lega il lavoro con le tecnologie, non solo in termini di efficienza, ma anche di sicurezza dei dati… e pure di noi lavoratori. Per molti trasferirsi improvvisamente dalla cattedra o dalla scrivania al tavolo di casa non è stato facile. Non è stata una scelta, non un desiderio: d’un tratto niente più pause con i colleghi, tragitti casa-lavoro-casa, saluti in corridoio, pranzi in compagnia in mensa o al bar. Solo un PC che ci ha connessi al mondo, tenendo vive a suo modo quelle relazioni che eravamo abituati a coltivare in presenza.

Eppure le potenzialità e le sfide delle tecnologie applicate al mondo del lavoro aprono scenari decisamente interessanti, che la formazione docenti proposta dalla World Social Agenda per l’anno di riflessione dedicato ai temi del lavoro espressi dall’Agenda 2030 ha proposto di discutere con il supporto di due esperte: Elinor Wahal, dottoranda dell’École Normale Supérieure Paris-Saclay ed esperta in Digital Economy e intelligenza artificiale per la salute e Silvia Pochettino, fondatrice di Ong 2.0, giornalista, saggista e formatrice specializzata in comunicazione digitale, appassionata di tecnologia e temi sociali. 

La riflessione che si dipana proprio a partire dalle intersezioni tra attività lavorative e mondo digitale chiama in causa inevitabilmente gli sviluppi economici e sociali, non necessariamente connessi alle conseguenze della pandemia. Vero è che se il dibattito pubblico sullo smart working è aumentato negli ultimi mesi (a giugno 2020 questi erano i dati relativi alla sua diffusione: 90% grandi imprese, 73% medie imprese, 28% piccole imprese), il “lavoro digitale” è stratificato e codificato ben oltre lo smart working. Di fatto, si riferisce a una situazione dove centrale è una piattaforma digitale, che opera come intermediario tra domanda e offerta lavorativa per permettere l’esternalizzazione. Tre sono le principali tipologie di lavoro digitale che Wahal presenta: il lavoro uberizzato, che prende il nome dalla celebre compagnia di servizi di trasporto, e si identifica come una forma di lavoro con delle “mansioni relativamente lunghe da eseguire”, che premia gli utenti secondo un sistema di online reputation, geograficamente connotato ed eseguito fuori casa; il lavoro free lance online, che come il lavoro uberizzato richiede un tempo lungo per essere svolto e ha bisogno delle piattaforme come intermediarie, ma che si differenzia perché eseguibile da casa e caratterizzato da competenze più specifiche (grafica, traduzione, etc.); infine il microlavoro, che ha sempre le piattaforme come mediatrici, ma le mansioni possono essere eseguite in un tempo estremamente breve; anche qui il lavoro può essere svolto da casa, ma non richiede particolari competenze tecniche e viene in generale associato a retribuzioni molto basse con task che un tempo facevano parte di mansioni più strutturate eseguite dal personale aziendale (anonimazione dei CV per le selezioni, trascrizione referti medici per le assicurazioni sanitarie o di materiali contabili necessari per le rendicontazioni).

Caso a se stante sono le cosiddette click farms, forme fraudolente di online marketing per aumentare i click su contenuti sponsorizzati, assimilabili a microlavoro per le mansioni svolte, ma di fatto afferibili a lavoro uberizzato perché eseguito fuori casa, all’interno di veri e propri luoghi di lavoro, con però numerose criticità che vanno dalle pesanti implicazioni ambientali per l’elevato utilizzo di dispositivi elettronici allo scarso rispetto dei diritti umani e dei diritti del lavoro.

Ci si rende conto fin da questi pochi elementi della grande influenza delle tecnologie sui cambiamenti non solo del lavoro, ma anche delle attività sociali. Di fatto, lo sviluppo delle tecnologie dipende in maniera consistente dalle finalità e dagli obiettivi di chi le sviluppa. Se lo scopo è un capitalismo selvaggio è normale che porti anche a delle inevitabili distorsioni. D’altro canto se le finalità sono di segno opposto, lo smart working può diventare anche un’opportunità. La tecnologia in sé non è di segno positivo o negativo, ma è un potenziatore di intenzioni. E come tutte le grandi rivoluzioni tecnologiche del passato è importantissimo capirne il suo utilizzo e dibatterne. Il dibattito è infatti al centro delle attività di Ong 2.0, network di organizzazioni no profit che lavorano insieme da diversi anni (ben prima dell’esplosione della pandemia!) per facilitare la comprensione e l’utilizzo di tecnologie digitali per fini sociali e di bene comune. Perché, lo sottolinea Pochettino, “essere online non è promuovere prodotti vecchi con metodi nuovi, ma pensare e progettare in un modo nuovo, non solo nella fase promozionale ma anche in quella di pensiero”. Affermazione supportata e confermata dalla recente ed enorme crescita della #webusability, cioè della possibilità di accedere e utilizzare strumenti informatici di ottimo livello pur non essendo programmatori o esperti del settore (basti pensare alla facilità con cui si può creare un sito web). Caratteristiche principali di questa digitalizzazione delle nostre attività e del nostro lavoro sono la disintermediazione; il protagonismo diffuso; lo scambio peer to peer; la fiducia spesso inconsapevole nella tecnologia; la risposta a bisogni concreti e la rapidità e semplicità del processo.

I confini tra online e offline rimangono più che mai labili nel periodo storico che stiamo attraversando, con implicazioni contradditorie rispetto alle opportunità di lavoro e ai rischi di essere immersi in un sistema fortemente dipendente dalla dimensione digitale per attività che neanche immaginiamo. Certo è che si tratta di una sfida che dobbiamo assolutamente cogliere come un’opportunità per stare al passo con i tempi, senza dimenticare l’importanza di rimanere persone connaturate alle relazioni e senza sorvolare sulla preservazione di tutele che rischiano di essere bypassate in un processo di trasformazione che sta avvenendo in mesi, ma che avrebbe rischiesto anni per essere intrapreso al meglio. 

Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.

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