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La scuola è sempre in fondo
Formazione professionale
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Foto: Unsplash.com
Tra i tanti risultati devastanti che ha comportato la pandemia c’è stata la degenerazione, per non dire scomparsa, della scuola italiana. Il virus ha provocato significative difficoltà didattiche, ampliato le disuguaglianze tra gli studenti e, a differenza di altri paesi europei, non ha permesso riaprire i battenti degli istituti prima della fine dell’anno scolastico. Nonostante sia stato indicato dal Governo il 14 settembre, oggi, non è ancora certo come e quando si tornerà sui banchi di scuola. Ma d’altronde la scuola in Italia è sempre stata l’ultimo dei crucci, lo dimostra il fatto che siamo quasi sempre fanalino di coda delle classifiche internazionali: all’ultimo posto, tra i 37 Stati dell’OCSE, per spesa pubblica destinata all’istruzione, possediamo il più basso tasso di laureati d’Europa e uno dei più alti di abbandono scolastico. Mentre le nostre scuole cadono letteralmente a pezzi, gli analfabeti funzionali si moltiplicano, visto che il 20% dei nostri giovani tra i 16 e i 29 anni ha capacità di lettura ritenute minime. Italia popolo di umanisti si narrava.
All’interno di questa cornice, drammatica, vi è un’ulteriore lacuna, tipicamente italiana, legata all’educazione finanziaria, enorme tallone d’Achille. La realtà è piuttosto preoccupante. Secondo i dati PISA 2018 (Programme for International Student Assessment), l’indagine OCSE che esamina il livello di capacità di lettura, matematica e scienze dei ragazzi di 15 anni a livello globale, l’Italia si classifica costantemente al di sotto della media e di paesi “simili” come Francia, Portogallo e Spagna. Inoltre, lo studio PISA uscito da poco, incentrato sull’alfabetizzazione finanziaria degli adolescenti, al quale hanno partecipato un campione di 20 paesi, mostra che il 20,9% degli studenti Italiani (contro il 14,7% dei paesi OCSE) non ha una conoscenza finanziaria sufficiente; non riconosce, cioè, il valore di un budget semplice e non riesce ad applicare operazioni numeriche di base in ambito economico. Solo il 4,5% si classifica al livello più alto, contro una media dei paesi partecipanti del 10,5%. L’italia è il Paese con la differenza di genere più accentuata, dove le ragazze risultano meno preparate, mentre persistono marcate differenze regionali: il Nord fa meglio del Sud e Isole. Con rammarico si nota come, rispetto ai risultati del 2012 e 2015, la conoscenza finanziaria rimanga allo stesso livello (non migliora o peggiora). Un’altra occasione persa per la generazione Z italiana?
Un’altra indagine di Standard & Poor’s del 2018, questa volta a rappresentanza di tutta la cittadinanza, citava che quasi 2 italiani su 3 non sono in grado di dare la risposta corretta a quesiti elementari sui temi economico-finanziari, come il risparmio, l’economia domestica, la finanza personale. Banca d’Italia, in un report sempre del 2018, presentava dati altrettanto allarmanti: solo il 30% degli italiani raggiungeva un livello di conoscenza di economia domestica adeguato, contro una media OCSE del 62%. Dallo studio emergeva che gli italiani non sono consapevoli dei vantaggi della diversificazione di un portafoglio di investimenti, hanno una scarsa propensione a perseguire obiettivi finanziari a lungo termine, poichè non pianificano le proprie risorse attraverso un budget familiare, e poco meno della metà non è in grado di calcolare un tasso di interesse semplice.
Questo, per ribadire che l’Italia deve cambiare marcia, lo deve fare a partire dalla scuola e lo deve fare al più presto. L’impianto educativo in Italia è debole e fermo da troppi anni, e deve essere riformato. I programmi scolastici, sia umanistici che scientifici, dovrebbero selezionare meglio i contenuti delle materie, alleggerendo certe parti a favore di nuovi insegnamenti. L’insegnamento di discipline economiche, finanziarie e sociali è sempre stato boicottato o frenato nelle scuole. Forse per riluttanza, per pregiudizi, francamente inspiegabili, o forse semplicemente per negligenza. Non si sa. Certo a scuola non si può imparare tutto.
Ma è arrivato il momento di rendere la scuola meno antipatica, anacronistica, estranea ai fatti della vita, e di costruire ponti più efficaci col mondo del lavoro. I piani di studio devono essere ristrutturati in ottica più professionalizzante, in maniera trasversale, tanto per i licei come per le scuole tecniche. Si devono istruire i ragazzi seriamente all’uso delle tecnologie, all’innovazione digitale, ai linguaggi di programmazione, ai concetti statistici, all’ambiente. Si devono trasmettere conoscenze economico-giuridiche e i principi relativi al risparmio, investimenti, previdenza, indebitamento.
Su questi ultimi temi le iniziative promosse da Mef, Banca d’Italia, Consob, Ivass, Università, Associazioni di categoria, e via dicendo, per quanto lodevoli, non possono colmare il vuoto educativo che si è creato, e il gap con gli altri paesi. È importante menzionare che su difficoltà e dubbi finanziari ai tempi del Covid-19 si baserà a ottobre il Mese dell’Educazione Finanziaria che giunge alla sua terza edizione e vedrà la partecipazione di associazioni, imprese, università, fondazioni, etc. Attraverso un susseguirsi di conferenze, webinar, iniziative culturali, seminari, spettacoli, giornate di gioco e formazione rivolte a adulti, ragazzi e bambini, si cercherà di sensibilizzare i cittadini sul bisogno di accrescere le proprie competenze economico-finanziarie. Lo Stato può e deve fare di più, in un Paese, tra l’altro, dove la Costituzione tutela esplicitamente il risparmio (art. 47).
Obiettivamente, mortifica vedere che l’Italia, paese avanzato, membro del G8, seconda potenza manifatturiera europea, stia così indietro. Non ci possiamo concedere questo lusso. Fare progressi sul fronte dell’educazione finanziaria e, in senso più ampio dell’istruzione, rappresenta una necessità urgentissima per il nostro Paese. In vista delle enormi risorse che si spera ricevere dall’Europa, un’attenzione e un atteggiamento più risoluto dev’essere intrapreso nei confronti della scuola. Invece, non c’è partito o organizzazione su scala nazionale che ne colga le istanze. Nè il piano Colao, nè il Decreto Rilancio, nè i blasonati Stati Generali, hanno dato all’istruzione (e ricerca) il ruolo che si merita. Molti più fondi devono essere stanziati, molti più cervelli devono essere stimolati (e trattenuti).
Marco Grisenti

Laureato in Economia e Analisi Finanziaria, dal 2014 lavoro nel settore della finanza sostenibile con un occhio di riguardo per l'America Latina, che mi ha accolto per tanti anni. Ho collaborato con ONG attive nella microfinanza e nell’imprenditorialità sociale, ho spaziato in vari ruoli all'interno di società di consulenza e banche etiche, fino ad approdare a fondi d'investimento specializzati nell’impact investing. In una costante ricerca di risposte e soluzioni ai tanti problemi che affliggono il Sud del mondo, e non solo. Il viaggio - il partire senza sapere quando si torna, e verso quale nuova "casa" - è stato il fedele complice di anni tanto spensierati quanto impegnati, che mi hanno permesso di abbattere barriere fuori e dentro di me, assaporare panorami, odori e melodie di luoghi altrimenti ancora lontani, appagare una curiositá senza fine. Credo in un mondo più sano, equilibrato ed inclusivo, dove si possa valorizzare il diverso. Per Unimondo cerco di trasmettere, senza filtri, la veritá e la sensibilità che incontro e assimilo sul mio sentiero.