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Unicef: urgono 856 milioni di dollari per i Paesi in crisi
Formazione alla cooperazione
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Occorrono 856 milioni di dollari per l'assistenza a donne e bambini in 39 Paesi colpiti da crisi umanitarie. E' l'appello lanciato nei giorni scorsi dall'Unicef presentando il 'Humanitarian Action Report' - il rapporto annuale sui paesi in emergenza. "Come effetto della crisi in Kenya, 300mila persone sono state costrette ad abbandonare le loro case e rifugiarsi in campi di accoglienza: 150mila sono bambini, di cui 80mila hanno meno di 5 anni. In Ciad la situazione è meno chiara, ma si stima che 30mila delle 52mila persone fuggite dal paese siano a rischio e richiedano immediata assistenza" - ha dichiarato Hilde Johnson, Vice-direttore dell'Unicef ricordando le recenti cr
Il rapporto esamina la situazione di paesi colpiti sia da crisi politico-militari, come appunto Ciad e Kenya, sia da conflitti di lunga durata che non fanno più notizia, sia da disastri naturali, come le alluvioni in Mozambico, indicando gli interventi d'emergenza previsti dall'Unicef e i fondi necessari. Il rapporto rileva come i conflitti, tradizionalmente la principale causa di crisi umanitarie, si combinino con sempre più frequenti disastri naturali, mettendo in pericolo l'incolumità e i mezzi di sussistenza delle popolazioni di ogni continente e aumentando l'impatto negativo su donne e bambini. In Kenya, per esempio, la popolazione era già prostrata dalle conseguenze delle alluvioni e dall'HIV/AIDS quando è scoppiata la crisi politica dopo le elezioni del dicembre 2007, mentre la situazione umanitaria in Somalia è stata aggravata da epidemie di diarrea acuta e dagli alti tassi di malnutrizione.
Un altro aspetto messo in rilievo dal rapporto è che sempre più frequentemente donne e bambini sono vittime di stupri sistematici, spesso perpetrati come arma di guerra. "Dobbiamo garantire che bambini e donne siano protetti quanto più possibile da queste atrocità, e che i responsabili di tali crimini vengano infine perseguiti legalmente" - ha sottolineato la Johnson. Il Rapporto non considera tutti gli interventi d'emergenza in cui è impegnato l'Unicef - gli uffici sul campo hanno risposto a 64 emergenze nel 2007 e a 282 nel 2006 - ma lancia un appello per le emergenze di vasta portata e lunga durata e soprattutto per quelle "emergenze dimenticate" che richiedono l'assistenza dei donatori. Per esempio, in Africa Centrale e Occidentale una combinazione di conflitti, disastri naturali e povertà continua a creare una situazione di forte instabilità, con oltre 1 milione di sfollati e la malnutrizione che rappresenta il principale rischio per la sopravvivenza dei bambini.
Ieri l'Unicef ha lanciato un ulteriore appello per salvare la vita di 90mila bambini somali: occorrono 6 milioni di dollari entro le prossime due settimane. "Se non otterremo i nuovi fondi entro le prossime due settimane" - ha avvertito il rappresentante Unicef - "dovremo sospendere le operazioni di distribuzione d'emergenza di cibo in gran parte del Paese". Il rappresentante umanitario ha spiegato che la situazione somala è ulteriormente peggiorata negli ultimi mesi e attualmente oltre due milioni di persone (il 24 per cento della popolazione) sopravvivono solo grazie agli aiuti umanitari.
Emerge dallo 'Humanitarian Action Report' anche qualche "buona notizia": il numero di vittime delle crisi umanitarie è in molti casi diminuito, grazie a una migliore preparazione della risposta alle emergenze nei paesi più esposti. Per esempio il ciclone Sidr, che ha colpito il Bangladesh nel novembre 2007, ha provocato 1.400 vittime: un numero inaccettabile, che però indica una maggiore capacità di risposta alle catastrofi naturali se si considera che cicloni di analoga portata avevano provocato nel 1970 e nel 1991 rispettivamente 500.000 e 140.000 morti.
Il rapporto descrive inoltre le esperienze maturate dopo la catastrofe dello tsunami a fine 2004, tra cui un più efficiente coordinamento tra i soggetti impegnati a diverso titolo nella risposta all'emergenza, un più efficace sistema di stanziamento delle risorse come il Central Emergency Response Fund (CERF), che consente una più rapida risposta da parte dell'Onu, una migliore preparazione delle comunità locali per renderle in grado di riconoscere i segnali di pericolo. Un esempio recente è il Mozambico, dove un sistema d'allerta precoce e di stoccaggio di aiuti d'emergenza in località strategiche ha permesso l'immediata assistenza a circa 95.000 persone rimaste sfollate a seguito delle alluvioni, in prevalenza donne e bambini. "L'esperienza ci ha insegnato che le comunità e le famiglie devono essere dotate delle conoscenze e capacità per meglio prepararsi e reagire ai disastri quando si verificano" ha proseguito Hilde Johnson. "La cooperazione con le comunità locali, i governi, le altre agenzie dell'Onu, le Ong - Organizzazioni non governative - e il settore privato è fondamentale non solo per la distribuzione degli aiuti, ma anche per trasmettere informazioni che possono salvare molte vite".