Trento: appello per la scarcerazione a Gibuti di don Sandro

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Il settimanale diocesano "Vita Trentina" rinnova l'appello per la scarcerazione di don Sandro De Pretis, il missionario trentino incardinato nella diocesi di Gibuti incarcerato da ormai quasi 100 giorni con accuse che variano dalla pedofilia alla corruzione di minori. Accuse ritenute palesemente infondate che nascono da una campagna diffamatoria con radici in vicende che risalgono agli anni Novanta che coinvolgono gli interessi francesi nel paese del Corno d'Africa.
Nell'intervista che pubblichiamo qui di seguito, il direttore del settimanale trentino, don Ivan Maffeis, che nei primi giorni di gennaio ha incontrato De Pretis nel carcere di Gadobe, ricostruisce l'intera vicenda e i colloqui con l'avvocato di don Sandro e sottolinea come, sebbene la Segreteria di Stato Vaticana segua e da ottobre l'evoluzione del caso e il ministero degli Esteri italiano abbia bloccato un ingente finanziamento tutto questo finora non abbia dato risultati.

Ecco l'intervista rilasciata da don Ivan Maffeis, direttore del settimanale trentino

Partiamo dall'arresto: perché don Sandro è in carcere? Mons. Bertin ha definito le accuse "pretestuose e assurde"...
Don Sandro è stato interrogato una prima volta lo scorso 8 ottobre con l'accusa di essere un procacciatore di bambini per una rete di pedofili, oltre che di aver abusato lui stesso di molti di loro. Il giudice per l'istruttoria del tribunale di Gibuti, Hassan Ali Hassan, dopo averlo ascoltato lo lascia libero. Contro questa decisione è ricorso il procuratore della Repubblica, Djama Soulaiman Ali, il quale è riuscito a farlo imprigionare. L'accusa? Detenzione di foto pedofile. Le stesse che don Sandro ha consegnato a "Vita Trentina" per documentare la sua attività di missionario⅀

Cosa c'è dietro l'arresto di don Sandro?
La Francia ha emesso un mandato di cattura nei confronti di Djama Soulaiman Ali e del capo della polizia segreta di Gibuti, Hassan Said Khaireh. L'accusa è quella di corruzione di testimone. Ci si riferisce al caso di un giudice francese, Bernard Borrel, trovato morto a Gibuti nel 1995: per alcuni si sarebbe suicidato, preso dai sensi di colpa per essere caduto nella pedofilia. In realtà è stato ucciso perché aveva trovato i mandanti dell'attentato al "Cafè de Paris", avvenuto nel 1990 a Gibuti, come anche dell'esecuzione di p. Marcellino (1987), un sacerdote che chiedeva giustizia circa due persone uccise in carcere. La scia dei delitti porta a Ismail Omar Guelleh, attuale presidente della Repubblica.

È possibile fare un'ipotesi sui tempi del processo?
Ho parlato a lungo con l'avvocato di don Sandro, Zakaria Abdillahi, il quale a fine dicembre dava per scontato che venisse celebrato a breve: ipotizzava un paio di settimane. In realtà, al momento non si è mosso nulla. La giustizia gibutina teoricamente può trattenere in carcere don Sandro ancora diversi mesi, pur non avendo formalizzato in maniera precisa alcuna accusa.

Come è stata appresa in diocesi la notizia dell'arresto?
Il settimanale diocesano ha dato la notizia della detenzione di don Sandro a metà dicembre: per un mese e mezzo abbiamo rispettato il silenzio stampa e quindi il lavoro della diplomazia, poi - avendo ricevuto anche una lettera dal carcere - siamo usciti.

Attualmente come viene vissuta la vicenda?
Giornali e televisioni locali danno quotidiani aggiornamenti. Da giovedì 17 gennaio abbiamo lanciato un appello per la liberazione di don Sandro al quale hanno aderito ormai quasi 3.500 persone.

L'Italia e la Santa Sede hanno avviato delle trattative diplomatiche? Cosa può dirci in proposito? Quali passi sono stati compiuti?
La Segreteria di Stato Vaticana segue da ottobre l'evoluzione del caso. Il nostro ministero degli Esteri è arrivato a bloccare un ingente finanziamento, destinato alla realizzazione di un ospedale sulla collina di Gibuti. Il console ha più volte incontrato il ministro della Giustizia di Gibuti e il suo collega agli Affari Esteri, ma tutto questo finora non ha dato risultati. La vicenda è nelle mani del presidente Guelleh.

La mobilitazione delle comunità di Trento e Gibuti è anche segno e frutto del legame creato da don Sandro...
Senz'altro, ma anche una reazione a quella che consideriamo un'evidente ingiustizia.

Lei ha visitato don Sandro in carcere. Qual è il suo stato?
Sta affrontando questa prova forte della propria innocenza e con quella speranza che viene dalla fede. Questo non impedisce che l'uomo, in detenzione ormai da 3 mesi, sia provato in maniera significativa.

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