Gli Stati Uniti tagliano fuori le ONG

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Iraq: ong e professionisti dell'umanitario esclusi da aiuti e da ricostruzione 20 marzo 2003 La guerra in Iraq sembra inaugurare il ritorno all'unilateralità anche in materia di aiuti umanitari e allo sviluppo come non si vedeva dai tempi del Vietnam. Mentre nei conflitti recenti, dall'ex Yugoslavia all'Afghanistan, le organizzazioni umanitarie non governative e le agenzie Onu hanno svolto un ruolo prioritario nell'assistenza umanitaria, nel caso dell'Iraq l'amministrazione americana ha deciso di accentrare tutte le funzioni ad un neocostituito ufficio per la ricostruzione e gli aiuti umanitari (ORHA) che dipende direttamente dal Pentagono. Le organizzazioni internazionali e le ong protestano denunciando la "militarizzazione" degli aiuti umanitari e il mancato rispetto del principio dell'imparzialità negli aiuti umanitari previsto dalla convenzione di Ginevra. Prima dell'inizio delle ostilità George Ward, coordinatore per gli aiuti e l'assistenza umanitaria dell'ORHA aveva affermato che facilitare la capacità di risposta umanitaria delle ong era un "elemento fondamentale" del suo ufficio. Ma a contrastare con le buone intenzioni sono i numeri del piano di ricostruzione così come rivelato dal Wall Street Journal, che prevede 1,5 miliardi di dollari in opere da assegnare ad un gruppo di aziende statunitensi e solo 50 milioni di dollari da destinare ad un piccolo cartello di associazioni umanitarie non governative. Il comitato internazionale della Croce Rossa ha lanciato un appello al rispetto della convenzione di Ginevra e ad "autorizzare e facilitare gli aiuti umanitari imparziali". Il principio dell'imparzialità è anche una delle preoccupazioni di Sergio Marelli, presidente dell'associazione delle ong italiane. "Gli aiuti umanitari -dice Marelli- devono essere tenuti ben distinti dalle azioni militari". Per Marelli non è solo messa in dubbio la professionalità e l'efficienza delle ong, ma la stessa autonomia dell'aiuto umanitario dall'azione militare di una delle parti belligeranti. Parla di aperta violazione della Convenzione di Ginevra e dei suoi protocolli aggiuntivi Gianni Rufini, esperto in aiuti umanitari e consulente di numerose agenzie Onu. Rufini ricorda che il diritto internazionale prescrive l'obbligo di permettere alle organizzazione umanitarie l'accesso alle vittime. In questo caso gli Usa si oppongono a tutte le azioni delle ong che non siano "transborder", ovvero fuori dai confini dell'Iraq. Rufini ricorda che l'emergenza umanitaria può assumere proporzioni spaventose visto che ormai già da quattro giorni sono stati interrotti gli aiuti alimentari, forniti nell'ambito del programma oil-for-food, che da anni sostengono oltre 16 milioni di iracheni. La frustrazione sull'iniziativa di accentrare in un organo dipendente dal Pentagono, traspare anche tra le file di Usaid, l'agenzia governativa americana che si occupa di cooperazione allo sviluppo. Usaid ha infatti chiesto che sia l'Onu a coordinare l'intervento umanitario. Esperti di aiuti umanitari americani giustificano la scelta di far dipendere gli aiuti umanitari con la carenza di un dispiegamento logistico adeguato delle ong in Iraq. Jean Marc Biquet di Medici senza frontiere, organizzazione che è tuttora presente a Baghdad con cinque professionisti dell'assistenza sanitaria di emergenza, sostiene che l'amministrazione americana cerchi di tenere le ong fuori dal paese per "vincere un'importante battaglia di relazioni pubbliche, o meglio di propaganda, nei confronti di un'opinione pubblica nazionale e internazionale, in maggioranza ostile a una guerra in Iraq". Intanto l'Ue persevera nel veicolare i suoi aiuti attraverso l'agenzia Onu Unhcr e la Croce Rossa internazionale. Il commissario europeo per gli aiuti umanitari, Poul Nielson, ha invitato al rispetto della separazione tra militari e cooperanti e "dell'indipendenza, della neutralità e dell'imparzialità" nell'aiuto umanitario. Nielson ha annunciato lo stanziamento dei primi 21 milioni di euro per far fronte all'emergenza. Per il futuro la Commissione europea ritiene necessario "svincolare dai fondi di riserva di emergenza dell'Ue" circa 100 milioni di euro da destinare agli aiuti di emergenza in Iraq anche se la disponibilità di tali finanziamenti richiede l'autorizzazione sia dei 15 sia dell'europarlamento. Nel disegno americano invece la ricostruzione sarà condotta prevalentemente da cinque grandi aziende statunitensi che hanno già ricevuto il piano stilato dall'Amministrazione: Bechtel Group, Fluor, Louis Berger Group e Parsons, oltre alla Kellog Brown&Root, controllata di Halliburton, ex società del vicepresidente Dick Cheney. Secondo il disegno del governo americano, le cinque aziende dovranno garantire, entro sei mesi dalla fine delle ostilità, il riordino di questi servizi principali: 1.500 miglia di strade; la riparazione del 15 per cento della rete elettrica; l'accesso ai servizi sanitari per almeno 13 milioni di persone; riapertura di grossa parte dei complessi scolastici; riapertura di almeno 5.000 abitazionee la costruzione di ulteriori 3.000 residenze.

Fonte: La Stampa

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