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La parola a Romano Prodi
Educazione allo sviluppo
Stampa
Mentre “demolition man”, come lo ha chiamato la stampa inglese, sta per varare il suo primo governo, la riflessione di Romano Prodi giunge quanto mai opportuna. Se Enrico Letta lavorava ogni giorno “come se fosse l’ultimo” (alla faccia della pianificazione), il suo successore Renzi per ora ha dato prova di doti da Speedy Gonzales o da corsaro, specializzato nelle azioni lampo. Aspettiamo di vedere le sue scelte concrete, perché non bastano slogan e battute, scaltrezza e rapidità per governare un Paese. Oggi occorre uno sguardo lungo, capace di partire da un orizzonte globale. Su questo versante l’insegnamento di Prodi è sempre attuale (Piergiorgio Cattani)
È da una poltroncina sul palco dell’aula magna della facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Trento che il professore, poi presidente del Consiglio, poi Presidente della Commissione Europea Romano Prodi si rivolge alle aule stracolme, anche in collegamento video, dichiarando “Ricordatevi ragazzi, non si può essere ricchi e stupidi per più di una generazione”. Una battuta per rompere il ghiaccio dinanzi a uno spaccato generazionale in carne e ossa che interviene con domande dirette a sviscerare le ricette suggerite dal professore per uscire dalla crisi. Investire nel capitale umano oltre che in quello finanziario è la risposta di Prodi, e di certo la location non può che suggerire che l’assenza di rilevanti investimenti nel settore dell’università, della ricerca e dello sviluppo equivale a negare all’Italia quel dinamismo di cui avrebbe estremo bisogno per dare nuova vitalità al Paese. Un’eccezione è costituita dal Trentino, che grazie agli investimenti della Provincia Autonoma riesce a rimpinguare le magre casse fornite dal MIUR (Ministero Italiano per l’Università e la Ricerca), dimostrando fattivamente di aver bene interpretato quella funzione di “divulgazione della conoscenza” a cui i livelli più alti dell’istruzione tanto ispirano.
Paralisi dei processi decisionali: questa l’interpretazione prodiana di tutti i problemi che affliggono l’Italia. L’assenza di decisioni significative atte a modificare e modernizzare il sistema scolastico, sanitario, lavorativo, giudiziario, a cui si affiancano l’asfissiante burocrazia e l’assenza di una leadership politica che guardi nel lungo termine, “incrostano” un Paese già paralizzato. A ciò è andata sommandosi la crisi, a cui sono certamente attribuibili molti aspetti perversi dei meccanismi finanziari che governano l’economia globale. Ma non si tratta solo di questo secondo Prodi. È una delle domande dal pubblico proprio relativa alle trasformazioni innescate dalla moderna rivoluzione tecnologica sul mondo del lavoro a indurlo a invocare la necessità per l’Italia, come per l’Unione Europea, di far fronte come priorità assoluta al problema della disoccupazione giovanile. Contrariamente al passato, laddove a ogni sviluppo tecnologico si verificava un passaggio abbastanza rapido da posti di lavoro “poveri” a “ricchi”, oggi lo straordinario e rapido sviluppo tecnologico non ha avuto gli stessi esiti. La crescita della disoccupazione non può che essere ricondotta anche alla riduzione di posti di lavoro a macchia d’olio in tutti i settori, non solo nell’ambito propriamente produttivo, dovuta all’introduzione di più veloci ed efficaci sistemi di comunicazione. Tendono ad esempio a scomparire le segretarie, gli operatori dei front-office, gli agenti di viaggio, e questa rivoluzione è solo all’inizio se si tiene conto della sua rapida e costante evoluzione. Il problema della disoccupazione non verrà meno con il prossimo, si spera, riassorbimento della crisi economico-finanziaria, ed è dunque una questione ineludibile, da affrontare.
In quest’ottica ben vengano anche le proiezioni della Gapminder Foundation per comprendere le dinamiche globali relative alla detenzione delle risorse, alla propensione dei consumi, alla crescita demografica, alla diffusione del benessere, indici fra l’altro di ipotetici scenari conflittuali sul pianeta. Analizzate e riproposte dal prof. Filippo Andreatta, direttore del Centro di ricerca sulla politica internazionale e la risoluzione dei conflitti (CeRPIC) della Fondazione Bruno Kessler di Trento, in un secondo incontro nel capoluogo trentino lo stesso 4 febbraio con il collega accademico Romano Prodi, in cui l’ex commissario europeo e attuale presidente del Gruppo di lavoro ONU-Unione Africana sulle missioni di peacekeeping in Africa è stato chiamato a illustrare la sua visione sul futuro del XXI secolo proprio prendendo spunto da questi trend. Il continente africano e la Repubblica Popolare Cinese sono al centro dei tanti stimoli offerti dal suo discorso. Il crescente e improvviso sviluppo dell’Africa a cui stiamo assistendo, tra l’altro anche grazie al sistema di import-export avviato con la Cina, la condurrà nel giro di un paio di decenni ad agire come attore credibile sul piano dell’economia globale. Una prospettiva reale a cui l’Italia, o meglio l’UE, dovrebbe giungere preparata ponendo sin da ora le basi solide; se infatti il nostro Paese risulta assai presente a livello commerciale e nelle relazioni politiche nell’intera area del Mediterraneo, è quasi del tutto assente in Africa sub-sahariana. Peraltro non sfugga all’analisi che l’altra faccia della medaglia del crescente sviluppo africano consisterà in un aumento dei consumi, a fronte di un ampliamento del benessere e delle necessità della popolazione, e di conseguenza in una ricerca insaziabile, pari a quelle della attuali potenze mondiali, di risorse fondamentali quali terre coltivabili e acqua, oltre a fonti energetiche. Prodi non manca di ricordare la correlazione oggi avvalorata tra sviluppo e scolarizzazione di un Paese, ponendo l’accento sulla significatività dell’età media della donna che contrae matrimonio, che proprio l’accesso all’istruzione tende a spostare più avanti. Un dato che sembra avere un’influenza diretta sulla crescita demografica globale, la quale è dunque destinata a rallentare notevolmente a fronte di un incremento dello sviluppo del continente africano. Anche il timore di un boom demografico della Cina dopo la recente fine della “politica del figlio unico” sembra scongiurata secondo gli analisti proprio dalla centralità della scuola nel sistema educativo cinese.
Ma al di là delle questioni legate alla ripartizioni e all’accaparramento delle risorse, e alla crescita e ai flussi della popolazione mondiale, è lo sguardo ad Africa e Cina quali attori dello scenario internazionale quello che più interessa Romano Prodi. A un’Africa che necessita imprescindibilmente di mettere in moto un efficiente sistema economico-commerciale interno, magari attraverso un ampliamento del mandato dell’Unione Africana, fa eco una Repubblica Popolare Cinese che mantiene un profilo apparentemente distaccato dinanzi alle crisi internazionali, pur rafforzando con crescente costanza i propri armamenti strategici e facendo dell’aggressività via mare e dell’arroganza commerciale e diplomatica la propria bandiera.
Il tour de force dei serrati incontri del Professore a Trento non poteva che concludersi con un riferimento all’Unione Europea. La sfida sul piano globale è sempre più ardua per un’UE che fatica a ritrovare una rotta e che rischia di essere percepita dai suoi 503 milioni di cittadini più come un museo di progetti falliti che come un laboratorio sperimentale di ricette per lo sviluppo, il benessere e la pace ai quali aspiravano i suoi primi costruttori. Una nota amara che dimostra la preoccupazione per l’apparente perdita di un progetto regionale condiviso a livello politico prima che economico. Se il Nobel per la pace è stato un riconoscimento dei successi passati urge costruire un futuro per il continente. E in fretta.