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È arrivata una nuova “Generazione Cooperazione” - I parte
Educazione allo sviluppo
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Immagine: Viração&Jangada
È entrato nel vivo il progetto “Generazione Cooperazione: Mettiamola in agenda!”, promosso da FOCSIV e da diverse ong, associazioni e reti di cooperazione allo sviluppo che operano su tutto il territorio nazionale. Sostenuto e cofinanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, in collaborazione con la Campagna 070 in Trentino il progetto è coordinato dalla Fondazione Fontana e FaRete (un coordinamento di più di 50 organizzazioni trentine di cooperazione e solidarietà internazionale) in partenariato con l’associazione Viração&Jangada che ha dato vita ad un percorso con un gruppo di giovani tra i 18 e i 30 anni che hanno deciso di impegnarsi nei propri territori per realizzare azioni di sensibilizzazione, informazione, e pressione politica sui temi della cooperazione internazionale allo sviluppo. Oggi conosciamo Emanuele Rippa, uno dei due rappresentanti del gruppo che ha intrapreso questo percorso di cittadinanza attiva! La prossima settimana incontreremo Zohra Mehri l'altra rappresentante di questo gruppo di giovani attivisti.
Ciao e piacere di conoscerti. Ci racconti chi sei e cosa fai?
ER: Sono Emanuele Rippa, sono di Trento, ma attualmente vivo a Firenze dove sto frequentando il corso di studi in Sviluppo sostenibile, cooperazione e gestione dei conflitti. Negli ultimi anni mi sono attivato principalmente per la giustizia climatica e ambientale, tra attivismo e associazionismo.
Come hai saputo di questo percorso e ci spieghi in cosa consiste?
ER: Ne sono venuto a conoscenza perché tra le organizzazioni di FaRete c’è anche Viração, associazione con la quale già collaboravo e per la quale ho partecipato al percorso delle conferenze dei giovani sul clima in Trentino. Il percorso è inserito all’interno della Campagna 070, che mira a chiedere all’Italia di dedicare lo 0,70% del PIL alla Cooperazione Internazionale, come promesso in accordi internazionali. Noi facciamo parte di un progetto che si concentra sui giovani per diffondere l’importanza della cooperazione e imparare come fare advocacy nel modo più efficace. Organizzeremo un forum a settembre per parlare di questi temi e chiedere alla politica un cambio di approccio.
Cosa significa essere “cittadini attivi”?
ER: A mio parere alla base di tutto sta la curiosità, un cittadino attivo prima di tutto è una persona che si interessa e che cerca di capire la realtà che lo circonda. Una volta che si inizia a farsi certe domande penso si venga inevitabilmente a conoscere aspetti della realtà che si ritengono ingiusti. A quel punto è importante cercare di portare il proprio contributo per cambiare le cose e questo si può fare in infiniti modi.
Quali competenze ti sta dando il progetto e con quali obiettivi? E i tuoi obiettivi personali in merito a questo percorso quali sono?
ER: il percorso mi ha permesso e ci sta permettendo di approfondire la storia e la situazione attuale della rete di associazioni e organizzazioni che lavorano per la cooperazione internazionale in Trentino. Abbiamo conosciuto realtà che hanno creato un ecosistema preziosissimo e unico in Italia, non solo per quello che viene realizzato in tantissimi paesi del mondo, ma anche per le possibilità che apre sul territorio, creando occasioni di dialogo e di scambio. Inoltre stiamo seguendo delle giornate di formazione con Oxfam per imparare a fare advocacy e chiedere un cambiamento nel modo più efficace. Il mio obiettivo personale è molto semplicemente quello di cercare di dare tutto quello che è nelle mie possibilità per aiutare il gruppo a lavorare ed ottenere gli obiettivi che ci siamo posti, riportare l’attenzione sulla cooperazione internazionale e chiedere che ne vengano aumentati i finanziamenti diretti.
Senza farne per forza una questione di scontro generazionale, c'è secondo te tra i giovani il desiderio urgente di un mondo più giusto e attento a problemi cruciali come l'aiuto allo sviluppo e il cambiamento climatico?
ER: Penso di sì, forse perché siamo una generazione che ha vissuto in pochi anni tutti i tipi di crisi che si possano immaginare e le cui prospettive per il futuro sono buie. Inoltre siamo una generazione globale, internet e le nuove tecnologie hanno avvicinato ragazzi e ragazze da tutte le parti del mondo, aiutandoci a provare una maggiore empatia e rendendo ancora più facile percepire le ingiustizie e voler fare qualcosa a riguardo. Spesso se ne parla in sedi separate, ma la cooperazione internazionale e la crisi climatica sono solo due facce della stessa medaglia. È più facile percepire l’urgenza per la crisi climatica perché ne stiamo sperimentando giornalmente gli effetti anche nei nostri territori e di cambiamento climatico, seppur spesso nella maniera sbagliata, si parla tantissimo. L’aiuto pubblico allo sviluppo però resta un tema fondamentale, che non siamo ancora riusciti a portare nelle conversazioni di tutti i giorni, se non quando avvengono delle emergenze. Questa campagna e questo progetto sono fondamentali per cercare di portare da un lato consapevolezza nella popolazione e dall’altro un cambiamento a livello di decisioni politiche.
In che modo la cooperazione internazionale potrebbe essere una risorsa capace di intercettare molti degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell'Agenda 2030 e un investimento per il futuro di tutti noi?
ER: Alla base c’è una questione di giustizia sociale, nel mondo ci sono più di un miliardo di persone che non hanno accesso ad una dieta sana e nutriente, a servizi igienici, al diritto di studiare, a non essere discriminati e a non morire a causa di un evento climatico estremo perché non hanno i mezzi per adattarsi; eppure i loro stessi paesi pagano miliardi di dollari ogni anno agli stati che li hanno sfruttati e derubati di qualsiasi risorsa. La cooperazione internazionale dovrebbe passare prima di tutto per la cancellazione del debito di questi paesi. Solo dopo questo, tramite una forma di redistribuzione potremmo permettere ai paesi e alle popolazioni più impoverite di avere le risorse per migliorare le loro condizioni di vita e per perseguire gli obiettivi che più preferiscono, anche se lontani da un modello di sviluppo occidentale. La cooperazione internazionale in questo senso potrebbe rendere più facile alle popolazioni investire per adattarsi agli effetti dei cambiamenti climatici, o preservare la biodiversità non dovendo deforestare per ottenere un reddito. Gli SDGs sono obiettivi globali e a tale livello devono essere affrontati, ma per farlo servono risorse che molti paesi non hanno, gli aiuti pubblici allo sviluppo possono servire anche per fornire a questi stati i mezzi per affrontare queste sfide.
La Cooperazione Internazionale allo sviluppo è – per la legge italiana – “parte integrante e qualificante della politica estera dell’Italia”. Essa “contribuisce alla promozione della pace e della giustizia e mira a promuovere relazioni solidali e paritarie tra i popoli fondate sui principi di interdipendenza e partenariato”. Attualmente però il Comitato dei donatori OCSE, i paesi più ricchi occidentali, è da oltre mezzo secolo che non rispetta l’impegno di raggiungere lo 0,70% del proprio reddito nazionale lordo per l’aiuto pubblico allo sviluppo. Eppure l’Italia è sedicesima tra i paesi donatori e non ha mai superato lo 0,30%...
ER: e non solo, negli ultimi anni l’Italia ha sbandierato i dati di un aumento dei fondi dedicati alla cooperazione internazionale, ma se andiamo a vedere dove questi soldi vengono spesi si vede che in realtà i fondi che vengono indirizzati verso i più poveri paesi dell’Africa o del mondo stanno diminuendo, mentre aumentano le percentuali che lo stato indirizza all’accoglienza interna. Quindi sostanzialmente l’aumento dei fondi dedicato alla cooperazione internazionale non lascia neanche il suolo italiano. Ovviamente questi fondi servono e sono importantissimi, ma inserirli in questi dati ci può far perdere di vista la realtà, la realtà è che l’Italia non sta rispettando gli accordi internazionali e non ha interesse a farlo. Il fatto che questo non venga fatto neanche dagli altri paesi OCSE aggiunge solo drammaticità alla cosa.
Alla luce del nostro scarso impegno nella Cooperazione Internazionale allo sviluppo che idea ti sei fatto di slogan come “Aiutiamoli a casa loro”?
ER: è molto triste, soprattutto perché nelle intenzioni di chi pronuncia questa frase non c’è nessuna reale intenzione di cooperare con i paesi di provenienza, ma semplicemente un interesse razzista nel tenere queste persone al di fuori dei confini dell’Italia. Se aiutare queste persone a casa loro vuol dire finanziare un regime autoritario che incarcera e tortura le persone forse è meglio che evitiamo. Molto prima di “aiutarli” a casa loro dovremmo forse smettere di schiacciarli di debiti e di estrarre e rubare le loro risorse naturali. L’idea di migliorare le condizioni di vita nei paesi di partenza per fare in modo che le persone non siano costrette a scappare è importante e dobbiamo impegnarci sempre di più perché questo sia il caso, ma l’obiettivo è fare in modo che le persone possano avere il diritto di sentirsi al sicuro e di vivere una vita dignitosa nelle loro case, non diminuire i tassi migratori.
Il sostegno ai migranti nell’aiuto pubblico allo sviluppo (APS) è una spesa importante per l’accoglienza di persone che fuggono dalle guerre, dalla povertà, dai disastri climatici, ma nel dibattito politico contemporaneo sembra esaurire tutti gli interventi di cooperazione con i paesi del Sud del mondo. Ma è veramente così?
ER: come accennato prima è fondamentale predisporre dei fondi per permettere a chi arriva un’esperienza il meno traumatica possibile, ma questi fondi non andrebbero calcolati nell’aiuto pubblico allo sviluppo. Sono soldi che rimangono sul territorio Italiano e che non hanno nessun effetto nel provare risolvere le disastrose condizioni in cui certe persone sono costrette a vivere e dalle quali qualcuno è costretto a scappare. Gli interventi di cooperazione internazionale dovrebbero puntare a migliorare le condizioni di vita delle persone e cercare di risolvere la cause strutturali della povertà e della fame in questi paesi, cosa che la spesa per l’accoglienza interna purtroppo non fa.
La Campagna070 della FOCSIV dal 2021 chiede al Governo italiano di programmare l’aumento dell’aiuto entro il 2030 per operare per un mondo di pace e sviluppo sostenibile. Tu cosa chiederesti a chi si candida a governare la nostra Provincia?
ER: penso che l’aumento dei fondi per l’aiuto allo sviluppo sia fondamentale anche per la provincia di Trento, negli ultimi 5 anni con l’amministrazione Fugatti sono stati tagliati sostanzialmente tutti i fondi per l’aiuto pubblico allo sviluppo e ad oggi rimane solo un piccolo fondo da utilizzare esclusivamente per le emergenze. È fondamentale però capire che senza fondi che permettano a queste associazioni di operare al di fuori delle sole occasioni di grave crisi, si aumenta il rischio che queste emergenze si verifichino. Inoltre sappiamo che il numero di associazioni e organizzazioni è uno degli aspetti che permette di comprendere e di misurare la salute di una democrazia. Senza i fondi molte associazioni stanno fallendo e questo non significa solo che i loro progetti non verranno realizzati e che quindi ci rimetteranno le comunità dove queste associazioni operavano, ma significa anche che ci saranno meno opportunità per ragazze e ragazzi della mia età, meno posti di lavoro, scambi di idee e tante altre esternalità positive dell’operato di un’associazione.
Il presidente della CEI Matteo Zuppi ha recentemente ricordato che «Rilanciare e mantenere l’impegno per destinare lo 0,70% del Reddito nazionale lordo alla solidarietà internazionale non è un’elemosina, ma un’azione di pace da compiere insieme con gli organismi Internazionali”. Come immagini il futuro della cooperazione internazionale allo sviluppo a livello nazionale e locale?
ER: spero con tutto il cuore che riusciremo in questi anni a portare un cambiamento. Sono d’accordo con l’affermazione di Zuppi, il mondo in cui viviamo è talmente interconnesso che non è più possibile pensare, come è stato fatto fino ad oggi, di poter mantenere in povertà la gran parte della popolazione senza conseguenze, tante volte infatti è la disperazione a portare alle azioni più estreme. Ma pensiamo anche solo ad alcune delle sfide che abbiamo dovuto affrontare negli ultimi anni e che dovremmo affrontare sempre di più in futuro, sono sfide globali che nessuno stato, per quanto ricco, può affrontare da solo. Pensiamo alla pandemia, alla crisi climatica o ai quasi 10 milioni di persone che muoiono ogni anno per l’inquinamento atmosferico. L’assenza di adeguate strutture sanitarie o la mancanza di fonti energetiche pulite in alcune zone del mondo si ripercuotono inevitabilmente anche sulle aree più ricche. Il primo motivo e il più importante per aumentare i finanziamenti alla cooperazione internazionale è quello di cercare di creare un mondo più giusto per chi fino ad oggi è stato mantenuto in povertà ed emarginato, ma se questo non bastasse si può trovare anche una motivazione più egoistica: per affrontare le sfide del mondo di oggi bisogna pensare come una comunità globale, se lasciamo indietro anche solo un popolo rischiamo di andare incontro ad effetti devastanti per tutta l’umanità.
Grazie mille della disponibilità, buon lavoro a te e a tutto il vostro gruppo di giovani cittadini attivi.
Articolo uscito anche su Abitarelaterra.org
Alessandro Graziadei

Sono Alessandro, dal 1975 "sto" e "vado" come molti, ma attualmente "sto". Pubblicista, iscritto all'Ordine dei giornalisti dal 2009 e caporedattore per il portale Unimondo.org dal 2010, per anni andavo da Trento a Bologna, pendolare universitario, fino ad una laurea in storia contemporanea e da Trento a Rovereto, sempre a/r, dove imparavo la teoria della cooperazione allo sviluppo e della comunicazione con i corsi dell'Università della Pace e dei Popoli. Recidivo replicavo con un diploma in comunicazione e sviluppo del VIS tra Trento e Roma. In mezzo qualche esperienza di cooperazione internazionale e numerosi voli in America Latina. Ora a malincuore stanziale faccio viaggiare la mente aspettando le ferie per far muovere il resto di me. Sempre in lotta con la mia impronta ecologica, se posso vado a piedi (preferibilmente di corsa), vesto Patagonia, ”non mangio niente che abbia dei genitori", leggo e scrivo come molti soprattutto di ambiente, animali, diritti, doveri e “presunte sostenibilità”. Una mattina di maggio del 2015 mi hanno consegnato il premio giornalistico nazionale della Federazione Italiana Associazioni Donatori di Sangue “Isabella Sturvi” finalizzato alla promozione del giornalismo sociale.