Donne, lavoro e disuguaglianze

Stampa

Foto: Unsplash.com

Prosegue la formazione della World Social Agenda sugli Obiettivi dell’Agenda 2030 e in particolare sul tema del lavoro e dei diritti, soffermandosi questa volta sulle opportunità e sulla possibilità di accesso al lavoro, ovvero sull’Obiettivo 10 che è al centro della riflessione proprio per le istanze di contrasto alle disuguaglianze di cui si fa portavoce. L’incontro online del percorso dedicato ai docenti lo scorso 16 ottobre ha ospitato due relatrici di spessore provenienti dagli Atenei fiorentino e patavino: Alessandra Pescarolo, ricercatrice e storica, già coordinatrice dell’area di ricerca dell’Istituto regionale per la programmazione economica della Toscana (IRPET) e la sociologa Tania Toffanin, membro del Centro di Ateneo ‘Elena Cornaro’ per i saperi, le culture e le politiche di genere di Padova.

Si entra subito nel vivo della questione, ma partendo da lontano: le radici storiche delle disuguaglianze, di classe e di genere, affondano in un circolo vizioso che spesso trova nella disuguaglianza una causa, ma anche una conseguenza, degli assetti che dall’Antica Grecia, all’epoca romana, al Medioevo e alla Rivoluzione industriale, fino ai giorni nostri, hanno caratterizzato il mondo del lavoro, intrecciando le disuguaglianze su questo fronte con quelle etniche, territoriali, razziali.

Anticamente le diseguaglianze di classe non erano così connesse al lavoro nel modo in cui lo concepiamo oggi. Nell’ideologia e nelle rappresentazioni culturali del tempo (si pensi appunto alla Grecia o alla Roma antica, società in cui le classi alte legittimavano il proprio ozio e l’assenza di lavoro sia manuale che mentale), le disuguaglianze erano ascritte e l’essere fuori dal mondo del lavoro era una caratteristica dei patrizi. La diseguaglianza diventa centrale nelle culture politiche ed economiche tra 800 e 900, con l’affermarsi della borghesia liberale a partire dalla Rivoluzione francese. È comunque nelle diseguaglianze di genere che si affermano in maniera drastica e persistente i fattori che si innestano su una cultura patriarcale che sopravvive sottotraccia, anche se ipocritamente da molti negata, fino ai giorni nostri, ordinando i due generi in un modo molto chiaro: gli uomini sono superiori, le donne inferiori.

Su questo snodo cruciale si inserisce l’intervento di Tania Toffanin, che sottolinea ancora una volta come la distinzione tra sesso biologico (insieme dei caratteri anatomici e fisiologici) e genere (che porta un riferimento in modo più specifico alle aspettative sociali di comportamento che sono assegnate a una persona di un particolare sesso biologico, pensando che il genere differisca nel tempo e nello spazio) sia essenziale per comprendere come di fatto il genere sia una costruzione sociale, che non esiste in natura e che definisce il maschile e il femminile fino a farsi norma, individuando precisi modelli maschili e femminili. Un approccio che determina ambiti strutturali e sociali della nostra vita privata e pubblica e condiziona la divisione del lavoro all’interno dell’ambito domestico e di cura, assegnando alle donne i maggiori oneri e definendo al contempo il sistema occupazionale e delle professioni, nonché la presenza di donne e uomini nella vita sociale e negli organismi di rappresentanza. 

Accade così che, fin da bambine e bambini, si maturi questa convinzione, a partire dalla “semplice” assegnazione dei colori e di alcuni modelli di comportamento pensati come femminili o maschili già in ambiente familiare, nell’ambito della socializzazione primaria. Ideali che poi, com’è purtroppo ancora evidente, trovano assoluta continuità nella costante riproduzione mediatica nonché all’interno della sfera pubblica, dove nei ruoli apicali ci sono principalmente uomini e nei ruoli esecutivi e spesso limitatamente retribuiti ci sono maggiormente donne. Uno scenario che conosciamo e che si ripercuote anche nella scelta del percorso formativo, il quale manifesta una chiara connessione tra la “segregazione formativa” e quella professionale e dunque retributiva (i settori meno retribuiti sono infatti quelli che vedono una maggiore concentrazione di donne). 

Prendiamo le donne italiane, per esempio: sono al primo posto in Europa per la media di ore dedicate al giorno al lavoro domestico e di cura (5h), condizione che lascia ben poco tempo da dedicare ad altro tipo di lavoro o ad attività libere da retribuzione (tempo libero, per intenderci). Le implicazioni agiscono inevitabilmente anche sugli avanzamenti di carriera, che oggi si basano pesantemente sul criterio del face time, ovvero della presenza sul luogo di lavoro. E le conseguenze riguardano anche la durata dell’età lavorativa: il maschio adulto procacciatore di reddito (male bread winner) ha definito in buona parte tutti i welfare occidentali, modello che nel tempo è venuto meno perché le donne hanno rivendicato spazi che prima non avevano e perché lo stesso modello improntato su una famiglia monoreddito non è più sostenibile. Situazione che porta a un’emersione ancora più pesante delle difficoltà di rimanere nel mondo del lavoro, legate soprattutto a un’organizzazione scoraggiante e rigida, basata su orari spesso non definiti in modo compatibile con altre esigenze legate alla gestione della famiglia e che, nonostante le ambizioni di leggi come la 53/2000 sul congedo parentale, segnalano ancora una significativa incapacità delle realtà aziendali di considerare la maternità come una variabile strutturale nel tempo della produzione.

Anche se il tema continua a rimanere terreno di riflessioni, confronti e dibattiti, cruciale resta un aspetto: il potenziamento della formazione di genere all’interno di percorsi che inizino a porre in discussione certi stereotipi fin dall’inizio e fin dal mondo della scuola. Sapremo raccogliere questa sfida o continueremo a nasconderci dietro assurde paure?

Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.

Ultime su questo tema

Il blackout come rivelatore

12 Maggio 2025
In questi giorni tanti e tante in Spagna hanno discusso su cosa è accaduto nella giornata senza elettricità, mentre istituzioni e media cominciavano a diffondere notizie contrastanti sulle cause. S...

Milpamerica: lo spazio digitale autogestito

30 Aprile 2025
Il social network delle popolazioni indigene creato dalle attiviste di Messico e Guatemala per proteggere i territori. (Monica Pelliccia)

I frutti della collaborazione

06 Maggio 2024
Questo mese nel podcast ALTRO MODO parliamo del progetto Orto San Marco - Setàp, in cui un’impresa profit, un ente pubblico e un ente del terzo settore collaborano. 

Con tutto quello che succede!

29 Marzo 2024
In questo mondo afflitto da terrificanti conflitti, l’allegra mattanza pasquale non può essere derubricata a fatto privo di importanza, sulla scorta del mantra “con tutto quello che succede…”. Al c...

L'autosviluppo delle comunità: il vero antidoto allo sfruttamento

16 Marzo 2024
L’Obiettivo 10 dell'Agenda 2030 è incentrato sulla riduzione delle disuguaglianze ed è uno degli scopi del Gruppo Volontariato Trentino (GTV). (Alessandro Graziadei)

Video

WSA: Iniziative di educazione allo sviluppo