Caritas/Migrantes: immigrazione, patrimonio da non disperdere

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In un paese in cui gli immigrati regolari sono tra i 3 milioni e 800mila e i quattro milioni, ovvero il 6-7% dell'intera popolazione, la logica dei numeri "esige un cambiamento di mentalità e l'adozione di politiche realistiche e più aperte, superando l'avversione aprioristica verso la diversità", poiché "è l'ambito delle politiche di integrazione il banco di prova della capacità della classe dirigente di un paese chiamato ad affrontare il tema delle migrazioni": lo affermano monsignor Vittorio Nozza, monsignor Piergiorgio Saviola e monsignor Guerino Di Tora, rispettivamente direttori di Caritas Italiana, Fondazione Migrantes e Caritas diocesana di Roma, nell'introduzione al XVIII "Dossier Statistico Immigrazione Caritas/Migrantes".

Il rapporto annuale, presentato oggi a Roma e in diverse città italiane - e che costituisce da anni un documento imprescindibile per capire in maniera documentata, lucida e onesta il fenomeno dell'immigrazione in Italia.
Secondo il Rapporto gli immigrati nel nostro paese "sono 1 ogni 15 residenti, quasi 800.000 minori, più di 600.000 studenti, più di 450.000 persone nate sul posto, più di 300.000 diventati cittadini italiani dal 1996 e oltre 150.000 imprenditori": dati che se confrontati con quelli del 2000 costituiscono "quasi un raddoppio": la prima collettività - raddoppiata in due anni - è quella romena (625.000 residenti e quasi un milione di presenze regolari) seguita da quella albanese (402.000) e marocchina (366.000), mentre poco al di sotto delle 105.000 unità si collocano le collettività cinese e ucraina. "I dati, considerati nella loro consistenza e nella loro tendenza all'aumento, non mancano di colpire. Eppure la loro interpretazione continua a essere controversa. Per molti si è di fronte a un innesto complesso ma fruttuoso, mentre per altri si tratta di un'invasione pericolosa, anche se non ne possiamo fare a meno, e questo diverso atteggiamento porta a privilegiare o la politica di accoglienza, o quella di difesa" - scrivono i curatori nel comunicato stampa.

Dal dossier si apprende inoltre che "gli immigrati hanno un tasso di attività (73%) di 12 punti più elevato degli italiani e sono creatori di ricchezza", concorrono infatti per il 9% alla creazione del Pil, oltre a costituire "una popolazione giovane, che per l'80% è composta da persone al di sotto dei 45 anni". Il tasso di fecondità delle donne straniere è in grado di assicurare il ricambio della popolazione (2,51 figli per donna), a differenza di quanto avviene tra le italiane (1,26 figli in media). Nel 2006 il 10% dei matrimoni celebrati in Italia ha riguardato coppie miste. Proseguendo nella lettura del documento, si apprende inoltre che "circa il 10% degli immigrati sono proprietari di case: nel 2007 hanno acquistato 120 mila immobili; parlano più di 150 lingue, fonte di cultura e anche di scambi commerciali mentre sono 146 le testate in lingua, tra giornali, radio e televisione, con circa 800 operatori". Inoltre, il rapporto evidenzia che essi "assicurano un contributo economico rilevante ai paesi d'origine tramite le rimesse, ammontate, nell'anno 2007, a 337 miliardi di dollari".

"Lascia perplessi sentir dire che in Italia si fa troppo per l'integrazione degli immigrati, non tenendo conto che questo impegno si può misurare. Rispetto ai 5 milioni di euro, con cui attualmente è finanziato il fondo per l'integrazione in Italia (in precedenza erano 100 milioni), riscontriamo che la Spagna di milioni ne spende annualmente 300 e la Germania 750: la Germania, tra l'altro, ha sposato decisamente l'ottica dell'integrazione e offre a ogni nuovo immigrato 300 ore gratuite di insegnamento del tedesco" - scrive Franco Pittau nella presentazione.

"Oltre agli aspetti economico-occupazionali-demografici bisogna prendere in considerazione gli aspetti culturali. L'Italia, nel confronto con gli altri paesi industrializzati, risulta poco aperta agli apporti dall'estero: pochi universitari (neppure 50.000), pochi stranieri nei posti di alta qualificazione, pochi ricercatori, mentre la differenza culturale, se ben gestita, è uno stimolo per favorire la crescita. Troviamo in Italia qualche centinaio di lingue straniere e di altrettante culture, milioni di diplomati e laureati che hanno studiato all'estero e portano con sé molteplici esperienze: questo è un patrimonio da non disperdere. In una competizione economica a dimensione globale è svantaggiato chi non valorizza le reti: noi abbiamo sia quella degli emigrati italiani all'estero che quella degli immigrati esteri in Italia: per una sorta di bizzarra par condicio rischiamo di non valorizzare nessuna delle due" - sottolinea il Rapporto.

"In questo quadro - sottolineano gli autori del rapporto - espressioni del tipo 'tolleranza zero' sono più che abusate nel nostro paese, in cui l'inerzia dell'azione politica ha creato pericolose derive sociali" mentre sarebbe preferibile parlare di "legalità, di impegno rigoroso per fare osservare le leggi e di senso di giustizia solidarietà nella loro formulazione". Il "pacchetto sicurezza - scrivono ancora i tre direttori - non esaurisce le politiche migratorie e neppure ne è la parte rilevante; vi sono aspetti importanti relativi al lavoro e all'integrazione sui quali da tempo segniamo il passo, ripetendo impostazioni inconcludenti".

In conclusione gli autori ribadiscono che si tratta anche di "cambiare la propria mentalità. La situazione attuale è una palestra che aiuta a prepararsi al futuro, in cui italiani e immigrati sono chiamati a convivere". "Da parte di noi italiani, non bisogna continuare a immaginare un paese che non esiste: è più conveniente accettare l'immigrazione come dimensione intrinseca della società, cercando di risolvere i problemi che si presentano. È assolutamente riprovevole il diffuso clima di ostilità - e talvolta di razzismo - nei confronti degli 'stranieri': chi disprezza, o maltratta, o prende sotto tono l'immigrazione, rende un cattivo servizio al Paese". "Da parte degli immigrati, e specialmente dei loro leader, bisogna adoperarsi per fare accettare a tutti un quadro chiaro di diritti e di doveri, favorendo una collaborazione sempre più fruttuosa per la quale, peraltro, sussiste la loro predisposizione, come riscontrato nelle diverse indagini condotte dal Dossier". [GB]

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