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Amref lancia 'Facciamo crescere il lavoro nero'
Educazione allo sviluppo
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"Facciamo crescere il lavoro nero". E' questo il claim della nuova campagna pubblicitaria di AMREF Italia, che sulla metropolitana di Milano e dal 20 sugli autobus di Roma, diffonderà un messaggio forte e provocatorio, che "gioca" con il delicato tema del lavoro nero, per stimolare gli italiani a pensare l'Africa in modo diverso.I volti di John Muiruri, assistente sociale che da vent'anni lavora al fianco dei ragazzi di strada, di Peter Ngatia, formatore di operatori sanitari, e di Maria Tororei, medico nello slum di Kibera a Nairobi, racconteranno per le strade di Roma e Milano, e successivamente di Bologna, Perugia, Napoli e Firenze, un'Africa moderna, che sa affrontare tutte le sfide della nostra epoca senza rinunciare per questo alla propria identità.
Questo è il "lavoro nero" secondo AMREF: lavoro di professionisti africani che lavorano per la propria gente, e affinché la propria meravigliosa terra non abbia, in futuro, più bisogno di aiuti dall'esterno. AMREF ha da sempre adottato questa visione dell'Africa come provano i suoi interventi nei settori medico sanitario, idrico, dell'istruzione, dell'assistenza ai ragazzi di strada, della lotta all'AIDS e della ricerca contro le grandi epidemie che affliggono il continente. Dalla sua nascita AMREF ha portato benefici diretti a 3 milioni di persone e, indirettamente, a circa 200 milioni di africani dislocati su un'area più estesa dell'Europa occidentale.
"Con questa campagna - dichiara Thomas Simmons, direttore di AMREF Italia - noi vogliamo parlare agli italiani di un'Africa finalmente libera dagli stereotipi di continente passivo, arretrato e condannato a dipendere dall'esterno. L'Africa di John, Maria, Peter e delle migliaia di operatori sociali e sanitari formati da AMREF in quasi mezzo secolo di attività, vuole essere autonoma. Un'Africa che non chiede beneficenza ma aiuti mirati, per investire nel settore della formazione e del coinvolgimento delle comunità locali, e per costruirsi così la propria modernità".