I giorni di guerra sono ormai 296: troppi

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Immagine: Atlanteguerre.it

Sono sempre le armi a parlare nell’Ucraina invasa dai russi. I giorni di guerra sono ormai 296: troppi. Così come troppi sono i morti di questa assurda avventura militare voluta da Putin. Per la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ci sarebbero ad oggi almeno “20mila vittime civili e più di 100mila militari caduti”. Il tutto in soli dieci mesi di guerra.

E’ una strage, quella in corso, comunque la si guardi. Che ci sia qualcuno che, dall’Europa, pensa già ad investire sulla ricostruzione del Paese è cosa al limite dello scandaloso. Parlano di affari, prima di risolvere il conflitto. Nulla indica un possibile avvio della trattativa, anzi. Gli esperti parlano di “mesi invernali in cui aumenterà il ritmo delle operazioni da entrambe le parti. Le condizioni sul terreno in tutta l'Ucraina saranno probabilmente idonee alle azioni offensive”. Lo pensa l’Istituto per lo Studio della Guerra e i funzionari ucraini paiono confermare. Prevedono che “la Russia possa tentare di lanciare un'offensiva su larga scala nei primi mesi del 2023”. Lo indicherebbero gli sforzi di mobilitazione russi, l'annuncio della coscrizione e il movimento di armi pesanti.

Contemporaneamente, le forze armate ucraine stanno preparando una nuova, grande, offensiva. Mancano i dettagli, ma lo ha annunciato il generale Valerii Zaluzhnyi, comandante in capo delle forze armate di Kiev. Ha spiegato comunque che “l’operazione è stata avviata. Non potete vederla, ma c’è”.

Insomma, la guerra continua, senza sosta. L’Istituto per lo Studio della Guerra, sostiene che Mosca potrebbe rilanciare la propria offensiva lungo due assi: il confine fra Kharkiv e Luhansk e nella regione del Donetsk. I russi stanno già conducendo operazioni militari limitate in queste aree. In queste settimane, poi, starebbero spostando l'equipaggiamento pesante dalle aree di retrovia nella regione di Luhansk verso l'attuale linea del fronte, lungo il confine con la regione di Kharkiv-Luhansk e hanno rimodellato il loro raggruppamento di forze in questa zona. Paradossalmente, è proprio l’inverno ad aiutare gli uomini di Putin. Le temperature sotto lo zero hanno reso il terreno più solido e compatto, permettendo di aumentare il ritmo delle operazioni. La potenza militare dei russi, con il ritiro dalla riva occidentale della regione di Kherson, si è ridispiegata nel Donbas, rafforzata dai riservisti mobilitati.

Intanto, continuano i bombardamenti a infrastrutture e popolazione civile. Buona parte dell’Ucraina è sempre al buio, con milioni di persone senza riscaldamento, luce. Kiev reagisce e le armi antiaeree sembrano essere sempre. Negli ultimi giorni, un intero sciame di droni kamikaze sarebbe stato abbattuto prima che raggiungesse i bersagli.

In questa situazione, all’orizzonte nulla indica si possa trattare e nessuno, su scala internazionale, sembra in grado di proporre una mediazione. Usa e Unione Europea continuano a stanziare fondi per aiutare Kiev, ma qualche problema sembra profilarsi. Gli Stati Uniti, ad esempio, faticano a tracciare i miliardi di aiuti, militari e non, all'Ucraina. Sembra lo abbia ammesso l’ambasciata statunitense a Kiev, in un cablogramma diplomatico inviato lo scorso 6 settembre. I dirigenti americani, secondo il cablogramma, starebbero utilizzando ogni possibile fonte per individuare dove finisca effettivamente il flusso di denaro. Ma gli ostacoli sono troppi: dai limiti al numero di dirigenti americani sul campo, fino alle limitazioni sui loro movimenti. Il presidente Biden pare voglia ingaggiare professionisti per supervisionare gli aiuti. E intanto Putin sembra scomparso dalla scena pubblica. Ha cancellato anche il discorso sullo “stato della nazione” che abitualmente teneva davanti all’assemblea federale. Le ragioni possono essere molte. Una la suggerisce il Russian editor dell’Economist, Arkady Ostrovsky, ricordando che “dal 24 febbraio, giorno dell’invasione, Putin ha incassato delusioni e frustrazioni sul campo. Ora Mosca rischia di diventare ingovernabile”.

Raffaele Crocco

Sono nato a Verona nel 1960. Sono l’ideatore e direttore del progetto “Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo” e sono presidente dell’Associazione 46mo Parallelo che lo amministra. Sono caposervizio e conduttore della Tgr Rai, a Trento e collaboro con la rubrica Est Ovest di RadioUno. Sono diventato giornalista a tempo pieno nel 1988. Ho lavorato per quotidiani, televisioni, settimanali, radio siti web. Sono stato inviato in zona di guerra per Trieste Oggi, Il Gazzettino, Il Corriere della Sera, Il Manifesto, Liberazione. Ho raccontato le guerre nella ex Jugoslavia, in America Centrale, nel Vicino Oriente. Ho investigato le trame nere che legavano il secessionismo padano al neonazismo negli anni’90. Ho narrato di Tangentopoli, di Social Forum Mondiali, di G7 e G8. Ho fondato riviste: il mensile Maiz nel 1997, il quotidiano on line Peacereporter con Gino Strada nel 2003, l’Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo, nel 2009. 

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