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Festeggiare il 4 novembre?
Cultura della pace
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Immagine: Unsplash.com
La Giornata dell'Unità nazionale e delle Forze armate è una giornata celebrativa nazionale italiana. Istituita nel 1919 per commemorare la vittoria italiana nella prima guerra mondiale ed è festeggiata ogni 4 novembre, data dell'entrata in vigore dell'armistizio di Villa Giusti. Fino al 1976 il 4 novembre è stato un giorno festivo. Dal 1977, in pieno clima di austerity, a causa della riforma del calendario delle festività nazionali introdotta con legge n. 54 del 5 marzo 1977, la ricorrenza è stata resa "festa mobile", con le celebrazioni che hanno luogo alla prima domenica di novembre. Nel corso degli anni ottanta e novanta la sua importanza nel novero delle festività nazionali è andata declinando ma negli anni duemila, grazie all'impulso dato dall'ex presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, la festa è tornata a celebrazioni più ampie e diffuse.
Ma oggi il il 4 novembre è da festeggiare ? Fa' un gesto di pace nella giornata delle forze armate, ricordando più l'unità della nazione che l'uso delle armi. Vi proponiamo la lettura di questo breve pezzo di Giorgio Beretta da Lavocedelpopolo.it.
“Inutile strage”. Così papa Benedetto XV nella sua lettera dell’agosto 1917 indirizzata ai capi delle nazioni belligeranti, definì la guerra mondiale che stava insanguinando l’Europa. Nella lettera il Papa ricordava che “sul tramontare del primo anno di guerra, Noi indicammo anche la via da seguire per giungere ad una pace stabile e dignitosa per tutti”. “Purtroppo – aggiungeva – l’appello Nostro non fu ascoltato: la guerra proseguì accanita per altri due anni con tutti i suoi orrori: si inasprì e si estese anzi per terra, per mare, e perfino nell’aria; donde sulle città inermi, sui quieti villaggi, sui loro abitatori innocenti scesero la desolazione e la morte”. Nella lettera, Benedetto XV invitò i governi dei popoli belligeranti ad accordarsi sui “capisaldi di una pace giusta e duratura”: “Il punto fondamentale – scriveva – deve essere che sottentri alla forza materiale delle armi la forza morale del diritto”. “Quindi – spiegava – un giusto accordo di tutti nella diminuzione simultanea e reciproca degli armamenti secondo norme e garanzie da stabilire (…); e, in sostituzione delle armi, l’istituto dell’arbitrato con la sua alta funzione pacificatrice, secondo le norme da concertare e la sanzione da convenire contro lo Stato che ricusasse o di sottoporre le questioni internazionali all’arbitro o di accettarne la decisione”.
Nemmeno questo appello fu ascoltato. La guerra proseguì per oltre un anno col suo carico di morti, distruzione e dolore. Persero la vita più di 11 milioni di militari, oltre 21 milioni furono quelli feriti e quasi otto milioni i dispersi e sette milioni i morti tra i civili. La Prima guerra mondiale fu una sciagurata carneficina sostenuta dalla propaganda bellicista del nazionalismo interventista che prevalse sulla volontà del Paese, e soprattutto delle classi operaie e contadine, e sul Parlamento, in maggioranza neutralista. Non possono essere dimenticate, in proposito, le parole del ministro degli Esteri, Sidney Sonnino: “Quelli che vogliono la guerra sono pochi. Ma se noi la crederemo necessaria o utile per l’Italia, dovremo o sapremo decidere al di sopra delle opinioni della folla”. Non riesco a commentare. Oggi voglio solo ricordare tutti i morti e i feriti di quella guerra. E, insieme a loro, anche le migliaia di militari ammutinati e disertori passati per le armi sul posto, senza regolare processo. E i renitenti alla leva e i disertori (870 mila) furono così numerosi da rendere necessaria un’amnistia, promulgata nel 1919 dal Presidente del Consiglio, Francesco Saverio Nitti. A ciascuno di loro il mio sentito omaggio.






