Tunisi, il giorno di festa

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Aprile, in Italia si festeggia la Liberazione, in Tunisia è il mese della commemorazione dei martiri. La chiusura degli uffici pubblici colma le strade di voci, brame e sensazioni. Ne risulta uno spaccato perfetto della società tunisina contemporanea, con le sue prospettive e i suoi miraggi, le sue certezze e le sue contraddizioni. Quale modo migliore per comprendere gli orizzonti della Tunisi futura, se non quello di abbandonarsi al fluire caotico delle sue vie, ricche di esperienze e di risposte?  Quale modo migliore per avvicinare questa complessa umanità, penetrando le mille sfaccettature di una cultura che guarda al nuovo, senza abbandonare l’antico? Poiché è questa la sfida che vogliamo raccogliere, in un giorno di festa, carico di significati. Tenendo fermo un obiettivo preciso: veicolare la natura più profonda di un’evoluzione sociale, che ci interessa da vicino.

La Marsa, sobborgo marittimo di Tunisi. Per strada, la gente marcia, si stringe, schiamazza: beve esultante, e senza ritegno, al calice delle celebrazioni. Pare quasi che invochi una felicità troppo a lungo sopita, che la esiga, alla stregua di un diritto sancito dalla nuova Costituzione. Ovunque è un tripudio di risate, di abbracci, di strette di mano. Famiglie, o gruppi di amici, si esercitano nel nobile mestiere della condivisione. Qua un insegnante, dai grandi occhiali, discreto e magnifico nella sua dignità sommessa; là un velo leggero, sotto il quale occhi di ragazza dichiarano la stessa voglia di vivere di ogni omologa d’oltremare. Non c’è spazio per i lacci della fede. Non c’è spazio per i pregiudizi. Gli abiti della festa, commoventi nella loro inadeguatezza, palesano una situazione economica difficile; allo tempo stesso, un desiderio insaziabile di superare gli affanni. È un’ambizione, questa, che potrà rivelarsi un alleato potente dei disegni di riforma del Primo ministro Jomaa, come lo fu da noi la voglia di riscattarsi e ricostruire, dopo la guerra mondiale.    

Tristi amori. A ridosso della balaustra, che si affaccia sul lungomare annoiato e maestoso, un giovane del luogo sorride a una turista europea: non giovane, non bella. Lei gli risponde, con la letizia smodata, con lusinga inattesa. Lui la osserva, allusivo e impudente, con un’audacia sconosciuta al di là del mare. Sa che quella sicurezza avvampa la femminilità tradita di quella donna dalle forme stanche, dai grandi occhi incapaci di mascherare l’intensa smania di esistere. Ci sarebbe di che compiacersi, di un’intesa tanto irrituale, se non vi fosse il sospetto che quegli ammiccamenti non abbiano nulla della reciproca simpatia; che rispondano al richiamo di fantasmi, di miti antichi: per lui, l’ombra di quei segreti piaceri, che le ragazze locali concedono con maggior difficoltà e maggior discrezione, forsanche il miraggio di un destino diverso, in una terra dei balocchi dai contorni sfumati; per lei, l’ebrezza di un potere, altrove negato, che vive nel corpo delle donne e nell’istinto degli uomini. Entrambi non sanno che le illusioni sono la maschera del dolore, e che il prezzo di certi abbracci è una solitudine più profonda. Quant’è umano tutto ciò, eppure impersonale. Quant’è triste la ricerca di un barlume di orgoglio, di opportunità nuove e migliori, in una stretta rabbiosa, breve e malinconica. Non è anche questo un retaggio della crisi?

Diseguaglianze. Lo sono, di certo, le enormi disparità sociali, che rendono ardua una convivenza civile serena e pacifica. Non è un caso che gli scioperi si susseguano frenetici e che abbiano come sfondo, in un’ampia maggioranza dei casi, rivendicazioni salariali. Ad esplicitare ogni cosa, anche (e soprattutto) in una giornata come questa, i dettagli, i piccoli segni di distinzione: la “signora”, dallo sguardo fiero e vagamente inquisitorio, che incrocia la domestica, curva ed involuta, in una postura che sembra denunciare l’imbarazzo per la propria condizione; il giovane borghese coi capelli scolpiti dal gel, che osserva, con una punta di sarcasmo, il netturbino dai denti guasti e la pelle cotta dal sole. Un equilibrio precario, che non si regge più sull’ormai sbiadita forma rassegnazione che caratterizzava le classi meno abbienti, sotto il regime di Ben Alì. Quanto durerà questa difficile concordia? Quanto occorrerà fare, perché la fragile intesa non si spezzi. Sono domande a cui dovranno rispondere, con la massima celerità, le autorità politiche e amministrative. Ma non oggi, non in questo giorno di festa e gaudio comune. 

Interrogativi. Tutti i dubbi, tutti gli interrogativi, riemergeranno domani, come rianimati dalla rumorosa (e non sempre impeccabile) pulizia delle strade, che fa da necessario seguito ad eventi come questo. Fra di essi ne spiccano senza dubbio alcuni, per forza ed interesse: per chi sono morti i martiri della nuova e vecchia Tunisia? Quale avvenire sognavano per il notabile e per l’umile padre di famiglia? Quali richieste rivolgevano alla Storia, in nome del loro sacrificio? Al di là degli indispensabili equilibrismi di bilancio, sono questi i quesiti a cui dare risposta.

Omar Bellicini 

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