Se i partiti fanno autocritica, seriamente

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Durante la campagna elettorale che portò alla seconda elezione di Barack Obama alla presidenza degli Stati Uniti, la sfida tra Partito Democratico e Partito Repubblicano fu particolarmente accesa. La compagine dell’elefantino, che aveva come candidato Mitt Romney, fu descritta dai rivali come un partito “completamente disinteressato alle minoranze del paese, intollerante nei confronti dei gay, fanatico del mito della ricchezza personale, nemico della scienza e ossessionato da temi di trent’anni fa”. Dopo quasi tre mesi dall’insediamento di Barack Obama, avvenuto il 4 gennaio 2013, il partito repubblicano – cioè il Republican National Committee – ha pubblicato un rapporto basato su 2600 interviste e lungo oltre 100 pagine nel quale si analizzano le ragioni del vistoso calo di consensi registrato dal Grand Old Party.

Il documento intitolato “Growth and Opportunity Projectè stato ribattezzato “l’autopsia” da esponenti del Tea Party per la sua analisi della crisi vitale di un partito repubblicano tramortito da una serie di importanti sconfitte elettorali. Gli strateghi e analisti che hanno redatto il documento dimostrano, in estrema sostanza, che la proposta politica repubblicana si rivolge a un elettorato molto ristretto: troppo bianco, benestante, maschile e ancorato al passato. Il principale problema che viene discusso in questo studio sta nel fatto che “gli elettori giovani ci guardano in modo sempre più perplesso e le minoranze pensano erroneamente di non piacere al Partito Repubblicano, e che il partito non li voglia nel paese. Quando qualcuno ci guarda in modo strano, è molto improbabile che ascolti le nostre proposte”.

L’idea di fondo, supportata anche dal presidente del partito Reince Preibus, è che bisogna uscire dall’ortodossia tradizionale, ammorbidire la linea su immigrazione, aborto e matrimoni gay e puntare sulle minoranze etniche. Queste idee andrebbero perseguite attraverso una strategia comunicativa il cui primo passo è quello di colmare il “digital gap” rispetto agli avversari del Partito Democratico attraverso una piattaforma per raccogliere dati e fissare i target elettorali che potrà essere usata dai candidati e dai gruppi di pressione nel 2016. Il tentativo del Partito Repubblicano di risintonizzarsi sull’elettorato parte da qui.

Leggendo il rapporto viene quasi da pensare alla situazione italiana e a tutti quei partiti che si sono accorti dell’importanza dei temi che sono stati il cavallo di battaglia del Movimento 5 Stelle solo al termine dell’ultima campagna elettorale per l’elezione del Parlamento italiano. Pur con tutte le differenze che intercorrono tra diverse ideologie e sistemi elettorali, questo esercizio di autocritica svolto dal Grand Old Party americano – una delle prime mosse vincenti del partito da molti mesi a questa parte – rappresenta un caso interessante per molti attori del nostro Paese. L’idea stessa di cimentarsi in quello che il New York Times definisce “una straordinaria presa di coscienza pubblica della discordia interna e vulnerabilità del partito”, è una novità importante nello scenario politico contemporaneo, da cui molti potrebbero trarre esempio.

Anche perché nell’analisi delle ultime sconfitte elettorali vengono discussi tanti problemi che, almeno implicitamente, ricordano da vicino quelli con cui devono fare i conti i partiti italiani, sfidati su un terreno relativamente nuovo dal Movimento 5 Stelle. Alcuni esempi sono la sistematica tendenza a guardare all'indietro, perdendo progressivamente il voto dell’elettorato giovane; l’incapacità di allargare la propria base elettorale al di là del proprio zoccolo duro; e la significativa spaccatura tra la base locale del partito e quella nazionale, sempre più disconnesse tra di loro con il risultato di risultare incapaci di parlare direttamente agli elettori. Vi sarebbe poi la questione fondamentale dell’evidente ritardo nello sviluppo di efficaci strategie di comunicazione online e quella, non secondaria, della tendenza a rafforzare le proprie convinzioni senza riuscire a essere dialogare efficacemente con chi si trova in disaccordo.

Tutto questo è stato confermato in maniera tragicomica dallo sfaldamento generale del Partito democratico, suicidatosi con i coltelli dei vari capi bastone, e dalla stessa elezione di Giorgio Napolitano che, a quasi 88 anni, vuole ancora, illusoriamente, mettersi al centro della scena.

Insomma: questo studio contiene moltissime riflessioni su problemi comuni a tanti partiti italiani. Leggerlo, con la consapevolezza di tutte le differenze che esistono tra i casi in questione, potrebbe comunque aiutare a capire da dove proviene la sconfitta dei partiti tradizionali in Italia. Ma soprattutto, questo studio insegna una fondamentale lezione di metodo: ripartire da un progetto politico limpido che guardi alle esigenze di tutto l’elettorato è il modo migliore per capitalizzare una pesante sconfitta elettorale e politica. Certo, il primo passo da fare in questa direzione sarebbe riconoscere chiaramente e senza mezzi termini la sconfitta. Fino a che tutti i partiti italiani continueranno a proclamarsi vincitori sarà molto difficile immaginare seri progetti politici per il prossimo futuro. Forse il trauma che è avvenuto nel Partito Democratico porterà a una seria riflessione, ma dubitiamo che essa verrà fatta alla luce del sole.

Lorenzo Piccoli

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