www.unimondo.org/Guide/Informazione-e-Cultura/Altra-informazione/Media-Remondino-critica-alla-Tv-spazzatura-in-guerra-55516
Media: Remondino, critica alla Tv spazzatura in guerra
Altra informazione
Stampa
Brillante, sferzante e con qualche malizia, spruzzata qua là sempre con garbo giornalistico, Ennio Remondino ha parlato di guerra, di informazione e di sistemi televisi all'incontro di "Dolomiti di Pace" dello scorso 10 agosto in Trentino. L'inviato per il Tg1 dal Kossovo, dall'Afghanistan e dal Golfo ha intrattenuto per oltre due ore le oltre cento persone che avevano affrontato le curve per raggiungere l'abitato di Luserna e il forte omonimo che lo domina, ricordo della Prima Guerra Mondiale. Una chiacchierata piacevole che se fosse stato per il pubblico non si sarebbe mai interrotta. Abbiamo pensato di riassumerla seguendo le domande principali.
Come si diventa reporter di guerra?
Io lo sono diventato per esilio. Al tempo di Nuccio Fava come direttore del Tg1, abbiamo deciso di realizzare degli speciali sul rapporto CIA e P2. Toccavamo personaggi come Bush (senior), Cossiga, allora capo dello Stato, un certo Andreotti, allora capo del governo. Quattro puntate andarono in onda. La quinta fu sospesa. Fava venne sostituito da Bruno Vespa. Io diventai corrispondente di guerra. Prima Guerra del Golfo. Poi la Bosnia fu la mia formazione. Insomma il messaggio era più o meno questo: se vuoi lavorare vai fuori. Nel '96/'97 insistetti perché venisse creata una sede RAI a Belgardo che è rimasta aperta fino a due anni e mezzo fa. Oggi io lavoro da Berlino, ma non per la Germana. Per l'Europa centro sud orientale. Non chiedetemi perché; credo che l'assurdità si spieghi da sola.
Dalla tua lunga esperienza nei Balcani, ci sai dire se la contrapposizione religiosa veniva strumentalizzata o era reale?
La Chiesa ortodossa non è né educativa né missionaria (come quella cattolica): non esistono oratori, le chiese sono poco frequentate. Non è quella chiesa che spinge il serbo a difendere l'identità bizantina. Allo stesso modo, gli albanesi, popolo laico e paganeo come è, difficilmente si è scannato per fede. Come in ogni guerra c'è l'idealpolitik e la realpolitik. In questo caso, si aveva la "Grande Serbia" di Milo⚀evic e la "Grande Croazia" di Franjo Tudjman che si volevano smazzolare la Bosnia. Non credo che questo abbia a che fare con la religione.
D'altra parte Urbano II nel 1100 disse "Dio lo vuole" e iniziarono le crociate. Secondo il linguaggio dell'idealpolitik si diceva che si voleva liberare la Terra Santa. Secondo la realpolitik l'intenzione era quella di occupare quelle terre.
Guerra e memoria. Quanto riusciamo a capire e a interpretare gli avvenimenti di guerra? Quanto cancelliamo dalla nostra memoria?
Io dico sempre che la guerra della TV dell'emozione nasce orfana e non lascia figli. Con l'accelerazione dei tempi della quotidianità, i tempi della memoria si accorciano. A questo meccanismo hanno contribuito non poco i meccanismi televisivi. Le guerre dell'altro ieri non esistono⅀ come tra il resto le promesse elettorali. E' un processo ineludibile. Ieri c'era il libro. Oggi la TV brucia gli avvenimenti.
Incide molto anche il modo di raccontare. Al di là della TV spazzatura, il meccanismo del Grande Fratello entra anche nella cosiddetta TV seria. Tu guardi dal buco della serratura anche quando ti informi su una guerra. Si gioca sulla leva della paura, del panico, della spettacolarizzazione dell'evento. Si punta a guidare la pancia dello spettatore più che la sua testa.
Le guerre in TV nascono dal nulla. Non sono inserite in un contesto che faccia capire le dinamiche, il perché siano scoppiate. E quando si chiude il sipario sull'esaltazione della "guerra tecnologica e intelligente", le guerre non lasciano figli, perché ciò che è rimasto sono solo aspetti da occultare. Rimane la realpolitik. Prima il faro era puntato sull'idealpolitik, di cui ogni guerra è rivestita: una guerra è sempre necessaria, ineludibile, patriottica. Ultima nefandezza in questo senso: guerra umanitaria.
Come allora arrivare a conoscere davvero la verità?
Come i cercatori di funghi. Nel bosco bisogna cercarli, i funghi.
E così le informazioni. In realtà non ci sono soltanto le due agenzie di stampa internazionali che detengono il monopolio dell'informazione. Ci sono anche altre voci indipendenti, più piccole e birichine: libri, riviste specializzate, siti internet.
Cosa impedisce, allora, a voi giornalisti, di tenere la schiena dritta?
Molti miei colleghi, mi rincresce dirlo, in una TV lottizzata, sono nati con la scoliosi. Ma non è sempre così. Nel mio caso, quando ero corrispondente dalla Bosnia, lo dicevo che era una "guerra del cavolo". I sostantivi e i verbi c'erano tutti, anche se gli aggettivi non potevano essere accesi. Nell'ultima guerra di Iraq si è perso un po' di vista il senso dell'informazione. Per me, informare significa prima di tutto riscontrare che il fatto sia vero e, in seconda battuta, di sintetizzare ciò che è importante. Nel caso di Bassorra, i miei colleghi hanno dato voce ad una comunicazione, non ad una informazione: Alla fine sembrava che la città fosse caduta 10 volte invece che una sola. D'altra parte la cronaca di quella guerra non era materia prettamente da Tg, ma era spalmata su tutto il palinsesto dalla mattina con Giuriato, a mezzogiorno con la Clerici e in pomeriggio con Cucuzza.
a cura di Denisa Gollino