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Mali. La guerra? Chissenefrega!
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Prima tappa del viaggio di Unimondo è in Mali. Ove la gente sembra rispondere con un gran “Chissenefrega” alla violenza dei gruppi affiliati al cosiddetto Stato Islamico. Nella capitale Bamako un'infinità di mototaxi, tutti cinesi, sfrecciano: questo sciame non s'è fermato lo scorso anno neppure un nanosecondo dopo l'attentato all'hotel Raddison Blu ove persero la vita 20 persone e 170 rimasero ferite. Passato lo spavento ma si continua a commerciare, barattare, sbarcare il lunario: qui chi non corre non mangia. Lo stesso dicasi per gli attentati a seguire, avvenuti nella stessa capitale e nella “vicina” capitale del Burkina Faso Ouagadogou.
E questo disinteresse non era calcolato dai diversi gruppi che fanno riferimento allo Stato islamico come al-Murabitun (gruppo armato jihadista salafita saheliano affiliato ad al-Qaida) o Aqim (anch’esso affiliato al-Qaida). Loro pensavano che dopo le stragi si sarebbero scatenati la paura, il panico, il blocco totale. Invece niente. Al silenzio atteso s'è contrapposto il quotidiano casino totale tipico delle capitali africane che per sopravvivere devono vivere. Nonostante non vi sia più un solo turista.
Risalendo il Niger facciamo tappa a Djenne ove c'è la “cattedrale” islamica in terra più grande al mondo. Siamo nella città e nella civiltà più antica d'Africa. Con soli due turisti: l'amico Marco e io. Arrivarci è un'impresa fatta da due guadi ed un attraversamento su chiatta che scoraggia non solo i turisti ma, si spera, anche il fanatismo islamico. La moschea e relativa biblioteca di Djenne hanno rischiato di venire distrutte parimenti alle sorelle di Gao e Timbuctu situate più a nord; ma, per fortuna, i barbuti non sono scesi così a sud. La guida turistica – tutti sono guide turistiche a queste latitudini – ci ha fatto entrare nel cortile del Patrimonio dell’Unesco vietato ai non mussulmani. Pulizia ed ordine in ogni angolo. Un silenzio spirituale. Una bellezza mozzafiato. Una persona raccolta in preghiera. Un metro più in là, oltre il muro di cinta torna la spazzatura; plastica ovunque e la confusione che è direttamente proporzionale al caldo. Il mercato rionale pullula di anguille e alcune verdure ed è quasi impossibile trovare un locale aperto ove mangiare qualcosa; no turisti no locali. Ma qui la guerra non c'entra. E’ la cultura mista incuria. Potete trovare decine di scuole coraniche aperte ma nessuna trattoria. Siamo nella città santa. Nelal gemella di Timbuctù.
Finalmente a Segoù ove si riposa. A termine del viale delle case coloniali v'è una prima convention panafricana di artisti, musicisti, pittori, scultori e galleristi: siamo dentro la prima edizione di Segoù art. Ci brillano gli occhi. Merita una visita alla gallery che vi ho preparato.
La parola pace, nei discorsi introduttivi di alcune autorità, è ormai satura. Parlano molto più le opere d'arte che urlano la loro rabbia contro la guerra e, nel contempo, se ne fregano. Tutta la città di Segoù ospita opere d'arte e la città stessa diventa una grande scultura con i suoi archi in terra cotta rossi come le dolomiti al tramonto e gli infissi celesti come il mare.
Colpisce un'installazione che rappresenta l'Africa sulla riva del Niger ancorata sul fondo del letto del fiume come a dire che il continente non è alla deriva. Tutto questo avviene nonostante che uno sparuto gruppo di dementi vorrebbe imporre la legge islamica e nonostante i “liberatori” ex coloni francesi che imperturbati stanno a nord formalmente per respingere lo Stato Islamico ma anche, secondo fonti locali, per cercare risorse minerarie come oro ed uranio.
Da Segoù a Mopti, la Venezia maliana. Rimaniamo fedelmente a sud del fiume Niger che sempre accompagna il nostro viaggio. Da qui partivano le barche cariche di turisti per Timbuctù – 3 giorni e 2 notti di viaggio – sino alla città d'oro ove arrivavano le carovane dei Touareg cariche di sale. Nonostante non vi siano oggi visitatori i conduttori delle piroghe (pinas) sono tutti al porto e si comportano “come se” il turismo dovesse rientrare a breve. In verità la distruzione di biblioteche, monumenti e cattedrali di terra rossa ha impressionato non poco l'opinione pubblica mondiale ed il turismo e la conseguente economia sono crollati verticalmente. Poco ha valso la condanna di Ahmad al-Faqih al-Mahdi, alias Abu Tourab all'Aja per il suo coinvolgimento diretto nella distruzione dei mausolei nel 2012. Meno importa se i maliani son riusciti a metter in salvo molti dei libri antichi. La gente, purtroppo, ha ancora paura ed i tour operator non sono tornati. Menchemeno le ong e gli operatori umanitari.
Davanti all'unico albergo di Mopti v'è una fila di carrozzine con persone benestanti non deambulanti. Volevano parlare con il neo Ministro della Difesa Tiéman Hubert Coulibaly che alloggiava nella camera a fianco della nostra. Cosa non proprio rassicurante visto che il corpo di guardia, mentre sto abbozzando questo diario nella hall dell'albergo, dorme beatamente.
A Sevarè, nei pressi di Mopti, Ipsia del Trentino ha in progetto di ristrutturare un hotel per ospitare le ragazze che scappano dalle città occupate di Gao e Kidal. L'occasione è per incontrare le “suore operaie” burundesi che vivono nelle vicinanze della casa del Vescovo e con le quali in Burundi avevamo fatto partire come Ipsia la prima scuola alberghiera.
Le burundesi lavorano per centinaia di ragazzine 9-11 anni che dai villaggi rurali scendono in città per fare le servette (e speriamo solo le servette) nelle case dei signorotti locali. Le suore offrono loro un po' di scolarità nel week end, uno spazio famigliare ove stare, cibo ad integrazione del povero pasto che consumano nelle case ove prestano servizio ma soprattutto molta serenità. Conosco bene il Burundi e sono rimasto positivamente impresso quando constatai il coraggio delle religiose di passare da un paese in guerra ad un altro paese in guerra. Alla domanda se non avevano paura fecero spallucce. Le suore, per educazione, non dicono: chissenefrega!
Fabio Pipinato

Sono un fisioterapista laureato in scienze politiche. Ho cooperato in Rwanda e Kenya. Sono stato parte della segreteria organizzativa dell'Unip di Rovereto. Come primo direttore di Unimondo ho seguito la comunicazione della campagna Sdebitarsi e coniato il marchio “World Social Forum”. Già presidente di Mandacarù, di Ipsia del trentino (Istituto Pace Sviluppo Innovazione Acli) e CTA Trentino (Centro Turistico Acli) sono l'attuale presidente di AcliViaggi. Curo relazioni e piante.