La libertà di stampa alla prova della condivisione on line

Stampa

Reporter Senza Frontiere ha calcolato il numero degli interpreti della libertà di stampa uccisi nel 2014: sono 99 tra giornalisti, cameraman e blogger; e per il 2015 già si contano 22 morti e 335 arrestati. Un numero, specifica la ong, che unisce persone senza ombra di dubbio assassinate per la loro professione e che dà meglio il senso, più di mille parole e analisi, di quanti timori susciti il “quarto potere”, ossia la capacità della stampa di informare e dunque di creare opinione pubblica. Una riflessione tanto più vera nel caso dei moderni conflitti armati, laddove è spesso difficile identificare vittime e carnefici, terroristi ed eroi, e la guerra è tutt’altro che un confronto tra eserciti in divisa. 15 morti lo scorso anno in Siria, 7 in Palestina, 4 in Libia e 4 in Iraq. La guerra è fatta anche di lotta per e contro l’informazione.

La Giornata Mondiale per la Libertà di Stampa, oggi alla sua 22sima celebrazione, non vuole essere solo una ricorrenza rituale ma intende soprattutto destare l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale sulla necessità di avere un’informazione di qualità. Pensiamo davvero che siano così lontani i tempi in cui Orson Welles riuscì a mandare nel panico milioni di cittadini statunitensi annunciando via radio l’invasione della Terra da parte degli extraterrestri? Era il 30 ottobre 1938. Se è vero che si tratta di un millennio fa dal punto di vista degli strumenti di comunicazione, oggi lo sviluppo di una tecnologia per la riproduzione di suoni, per la realizzazione di una sequenza di immagini verosimili e per la diffusione mondiale di una notizia confezionata ad hoc pressoché in tempo reale, potrebbe ottenere risultati analoghi a quelli avuti dalla beffa del regista americano, se non migliori dal punto di vista della qualità del prodotto. E sarebbe anche più improbabile scoprire la messinscena nel caso di territori lontani e poco conosciuti.

È questo uno dei rischi connaturati a una gestione dell’informazione diffusa e in mano a dei non professionisti. Un enorme pericolo che sottende la recente tendenza a glorificare la libertà di stampa identificandola con la garanzia di accesso agli strumenti di comunicazione e ai social network, senza porre altrettanto accento sul materiale che questi nuovi mezzi (a cui “democraticamente” tutti hanno accesso) veicolano. La manipolazione dell’informazione è da sempre un’arma, che oggi sembra essersi affinata. E mentre recentemente in Italia un video rimbalzato dalla tv a facebook in cui due rom minorenni dichiaravano di rubare mille euro al giorno ha registrato ben 11 milioni di visite e 300mila commenti di indignazione e insulti salvo poi essersi rivelato un “fake”, un falso, dall’11 settembre 2001 milioni di individui continuano a contestare l’autenticità della versione secondo cui i due Boeing 767 si sono schiantati contro le Torri Gemelle a New York e un terzo sul Pentagono a Washington DC a dispetto delle numerose riprese, foto e testimonianze. Se dunque le prove dei media e i racconti dei testimoni non sono sempre intesi come dimostrazione inconfutabile dell’avvenimento di un fatto, sospettato di manipolazione a seconda delle proprie personali credenze o fini, proprio il report con alcune foto scattate da un satellite in orbita in mano al Segretario di Stato statunitense Colin Powell nel febbraio 2003 ha fornito prove al Consiglio di Sicurezza che Saddam Hussein detenesse in Iraq armi di distruzioni di massa, autorizzando la missione sul territorio mediorientale. Peccato che proprio quelle foto portate in un così solenne consesso si sarebbero rivelate false.

Le contraddizioni che vive la libertà di stampa, al pari di altre libertà civili fondamentali, stanno nei limiti e nelle forme in cui essa è esercitata. Tale libertà va garantita a ogni essere umano e in ogni forma, purtroppo anche quando si nutrono così i social media di disprezzo e odio, perché non può essere sottoposta a censure o ad autorizzazioni. E va a maggior ragione assicurata laddove, come ben individua l’Indice Mondiale della Libertà di Stampa, la denuncia delle violazioni dei diritti umani o il monitoraggio di un conflitto devono essere costanti per tentare di modificare lo status quo. Sono molti gli Stati che, con norme vecchie quanto l’introduzione della carta stampata, hanno proibito ai propri cittadini l’accesso ai sistemi di comunicazione web e hanno stretto il giro di vite attorno ai blogger e a chi fa informazione; uno sforzo titanico e fortunatamente pieno di falle.

Sempre più determinante appare dunque l’essenza stessa della libertà di stampa. Sono lontani i tempi degli scontri dialettici di guerra fredda, quando il delegato statunitense e quello sovietico rivendicavano per sé la vera essenza di tale libertà, mettendo il primo l’accento sulla garanzie di poter pubblicare contenuti in maniera libera e il secondo sull’effettiva messa a disposizione a tutti i cittadini degli strumenti per farne uso. Oggi quella diatriba appare superata sul piano tecnico con l’invenzione degli smartphone che ha offerto numerose possibilità comunicative su un piano di sostanziali pari opportunità per il cittadino globale. Se dunque la libertà di stampa consiste sia nella possibilità di poter dire ciò che si vuole sia nell’avere gli strumenti per poter esercitare tale libertà, oggi il punto più controverso del dibattito tocca l’indipendenza e la qualità dei media, e la necessità di metterla al riparo da strumentalizzazioni e logiche di tipo economico, sociale e politico. 

Miriam Rossi

Miriam Rossi (Viterbo, 1981). Dottoressa di ricerca in Storia delle Relazioni e delle Organizzazioni Internazionali, è esperta di diritti umani, ONU e politica internazionale. Dopo 10 anni nel mondo della ricerca e altrettanti nel settore della cooperazione internazionale (e aver imparato a fare formazione, progettazione e comunicazione), attualmente opera all'interno dell'Università degli studi di Trento per il più ampio trasferimento della conoscenza e del sapere scientifico.

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