Ecuador: pressing totale di Correa contro la libertà d’informazione

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In Ecuador, Janet Hinostrosa è un volto noto; giornalista e presentatrice dell’emittente televisiva nazionale Teleamazonas, fino alla settimana scorsa conduttrice del programma “Las mañanas de 24 horas”, in onda tutte le settimane dal mercoledì al venerdì. L’ultima puntata del programma é stata la più eclatante: la Hinostrosa, in diretta TV, ha annunciato il suo ritiro dalle trasmissioni, a causa delle “pesanti minacce ricevute contro la sua integrità física”. La giornalista, assieme al collega Fausto Yépez, stava indagando (e diffondendo i risultati dell’indagine durante il suo programma) su di un possibile caso di corruzione che vedrebbe coinvolte persone vicine al governo dell’attuale presidente in carica, il discusso Rafael Correa.

L’accaduto ha generato la solidarietà immediata dell’UNP (l’Unione Nazionale dei Giornalisti), che ha condannato “il clima di violenza verbale emanato dalle più alte sfere del potere contro i giornalisti; le intimidazioni subite dai professionisti della comunicazione e dalle loro famiglie iniziano a ripetersi con sempre maggiore frequenza”.

Quello della Hinostrosa, infatti, non é un caso isolato. Il cattivo, anzi pessimo rapporto tra il presidente Correa e gli organi di informazione é cosa vecchia e nota. Secondo la ong Fundamedios, dal 2008 sono 18 i giornalisti, editori e direttori messi a tacere a colpi di leggi, decreti e condanne o a causa di minacce subite da fonti anonime. L’episodio più clamoroso é quello che coinvolge l’editorialista Emilio Palacio, del quotidiano d’opposizione El Universo, condannato a 3 anni di carcere e al pagamento di 40 milioni di dollari a causa di un articolo giudicato dal governo diffamatorio. Non solo, le emittenti televisive Gamavision e TC Television, così come il giornale El Telégrafo, sono stati nazionalizzati; la televisione Morona Santiago e diverse radio sono state fatte chiudere, a causa della messa in onda di programmi dal contenuto critico nei confronti del governo.

Questa politica di terra bruciata attorno a tutto quanto non si dimostri allineato a quello che sembra essere ogni giorno di più il pensiero unico del governo, é valso all’Ecuador la condanna ferma e decisa da parte di Amnesty International, Human Right Watch e Freedom House. Anche la Commissione per la Libertà di Stampa dell’Organizzazione degli Stati Americani ha preso posizione, criticando espressamente l’operato di Correa.

Per tutta risposta il presidente ecuadoriano ha rispedito ai mittenti le critiche, usando i toni tipici dei più carismatici leader sudamericani: “La stampa in Ecuador si é trasformata in un mastino affamato, bavoso e aggressivo, che utilizza il proprio potere per interessi privati”. Sindacati, osservatori e organizzazioni internazionali (oltre a quelle citate, vanno aggiunte la CIDH – Commissione Interamericana sui Diritti Umani e la SIP – società Interamericana della Stampa) sarebbero, secondo il presidente, mercenari al soldo di gruppi privati, interessati a fare politica attraverso i mezzi di comunicazione.

Non solo slogan e parole: Correa ha vietato ai ministri del proprio governo la partecipazione a trasmissioni mandate in onda da emittenti private e si é arrogato la potestà di interrompere programmi non graditi, sostituendoli con spot propagandistici. Tutto questo come prodotto della riforma di legge del maggio 2011 (approvata con referéndum), contro i mezzi di comunicazione “nemici e corrotti”. Una riforma pericolosa, che di fatto consegna nelle mani del governo la mannaia della censura su quanto si scrive o di dica su giornali, radio e televisioni nazionali e locali.

Ora, se questo è lo scenario in Ecuador, un paese dove esercitare il diritto/dovere di informare é diventato non solo difficile ma anche pericoloso, viene da chiedersi: cosa ci fa Julian Assange, paladino della libertà di stampa e della trasparenza totale, rifugiato proprio nell’ambasciata del paese sudamericano accusato persino dalla Nazioni Unite di violazione della libertà d’espressione? E non é altrettanto stonato che Assange strizzi l’occhiolino a Correa attraverso la rubrica che il fondatore di Wikileaks tiene sul canale tv Russia Today, finanziato nientemeno che da Vladimir Putin, uno che non può certo essere definito strenuo difensore delle libertà individuali?

Andrea Dalla Palma

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