Dimmi in quale film ti insegnano che fare adesso?

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Aspettatevi di essere trasportati in un altro mondo, non come in un sogno, anzi piuttosto in un incubo, di quelli da cui non riuscite a svegliarvi. Vi ci sarete accostati volontariamente decidendo di andare a vedere uno spettacolo e, a dirla tutta, all’inizio vi sarà sembrato molto divertente ma poi, all’improvviso, i due attori in scena hanno iniziato a martellarvi la testa con descrizioni, immagini, dialoghi di una tale crudeltà e a tal punto strazianti che avreste preferito tornare a casa e dimenticare tutto. Era difficile però perché le parole dette erano pesanti come macigni nonostante fossero state evocate da solo due persone, vestite semplicemente, in nero, senza maschere, senza trucco, senza oggetti, senza scenografia: parole e gesti gli unici strumenti a loro disposizione e una storia da raccontare.

La storia è quella della guerra nella ex Jugoslavia, una storia che è entrata di diritto nel libro del guinness dei primati; una rarità per un conflitto che, a dispetto di quanto la vicinanza geografica all’Italia e la prossimità temporale lascerebbero supporre, resta pressoché dimenticato: troppo recente per essere studiato e troppo vecchio per essere ricordato. Per essere attivi osservatori dei record raggiunti da quella guerra, immaginate di trovarvi a un tavolo di Poker Texas hold’em con 4 giocatori: la prima guerra mondiale, la seconda guerra mondiale, la guerra del Vietnam e la guerra nella ex Jugoslavia. La prima tira una carta: su 100 morti, 90 in divisa e 10 civili. Risponde la seconda: i civili morti ogni 100 persone si impennano a 67. Il Vietnam è però forte della sua carta: 80 civili ogni 100 morti. È però la carta della ex Jugoslavia a puntare un “all-in” e a vincere con ben 95 civili morti ogni 100. È record. Così come lo sono il più alto numero di italiani morti nel conflitto dopo la seconda guerra mondiale, con o senza la divisa, e il più lungo assedio nella storia bellica moderna, quello di Sarajevo, protrattosi dal 5 aprile 1992 al 29 febbraio 1996.

Dinanzi a cotanti numeri da guinness, non potevano esserlo da meno i protagonisti di queste storie, veri e propri eroi e campioni di umanità che la guerra e l’odio etnico-religioso non hanno intaccato, a Srebrenica come a Sarajevo, o in altri luoghi ben meno noti e sotto i riflettori mediatici del conflitto. Storie vere, testimonianze dirette raccolte dal registratore di una cardiologa volontaria in Bosnia durante la guerra civile, Svetlana Broz, e trasformate in un volume. Un cognome celebre quello dell’autrice che non delude le aspettative: la dottoressa Broz è la nipote di quel maresciallo Tito che dal secondo dopoguerra al 1980 fu l’indiscusso presidente della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia. Serbi, croati, bosniaci-musulmani, macedoni e albanesi, tutti vestono le parti delle vittime e dei carnefici nei diversi episodi tratti dal libro della Broz e raccontati da questo spettacolo teatrale-documentario portato in scena da Marco Cortesi e Mara Moschini ovunque ce ne sia richiesta in tutta Italia (e non solo). L’intento? Fare memoria dell’ultima sanguinosa guerra nei Balcani indagando sulla soggettività di ogni individuo all’interno del conflitto, come lo stesso titolo dello spettacolo ricorda “La scelta. E tu cosa avresti fatto?”. L’eroismo non si apprende da un film, né esiste una scuola che lo insegna, è una scelta personale. Quella di unirsi o meno alla bestialità della guerra e decidere se vedere la persona al di là degli abiti indossati o del simbolo religioso al collo. Una divisa quella indossata anche dai caschi blu della missione UNPROFOR dell’ONU, una Protection Force (forza di protezione) secondo le intenzioni del Palazzo di Vetro che la istituì nel 1992 ma con un mandato internazionale talmente debole che i suoi uomini furono percepiti quali “oggetti inutili e fermi”: anch’essi, singolarmente e come persone, avrebbero potuto fare una scelta diversa. Ciascuna persona nel conflitto, così come ognuno degli spettatori nel mondo avrebbe potuto scegliere diversamente, perché “quando in gioco c’è la vita o la morte il dilemma tra ‘non voglio’ e ‘non posso’ diventa molto, molto più semplice” da sciogliere. È a questo punto che la scena in cui agiscono gli attori si allarga al di là del conflitto raccontato, e ci riporta alla quotidianità, a quel non poter agire sui meccanismi della corruzione, della discriminazione, della violenza, dello sfruttamento a cui spesso assistiamo come osservatori passivi, senza scegliere di essere se non per forza degli eroi, per lo meno cittadini coscienti e impegnati. Non possiamo o non vogliamo?

Miriam Rossi

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