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Criticare il re costa un partito
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Foto: Unsplash.com
di Emanuele Giordana
Una sentenza attesa e che purtroppo ripete un copione più volte utilizzato in Thailandia quando un partito minaccia poteri consolidati e il ruolo di una delle più longeve monarchie del pianeta. Che è vietato criticare anche baldamente. Così ieri la Corte costituzionale thai ha deciso la dissoluzione del Phak Kao Klai, noto anche come Move Forward Party, guidato da Pita Limjaroenrat, il giovane imprenditore progressista che nelle ultime elezioni politiche gli aveva fatto guadagnare il primo posto come numero di voti. Ma la sentenza sulla messa al bando, che Pita e compagni già erano preparati ad affrontare, contiene anche una direttiva che allontana lui e il direttivo dalla politica per dieci anni. Sapendo che Pita si stava già organizzando per guidare una nuova organizzazione, i giudici hanno pensato bene di farlo fuori dall’agone. Non c’è posto né per il Partito né per i suoi dirigenti. Anche se gli esclusi han promesso battaglia, forti di 148 deputati di cui messi al bando sono solo cinque. Spetterà a loro creare un nuovo partito per continuare.
Alla base della decisione dei nove giudici della Corte c’è il famoso articolo 112 del codice penale che riguarda il reato di lesa maestà. La più draconiana legge al mondo che riguarda il reato di diffamazione di un monarca. Pita non voleva cambiare le regole del gioco ma rendere meno assurda una legge che può costare per una frase 15 anni di carcere. Ma una citazione depositata in tribunale ha fatto partire l’iter per definire se la campagna di riforma resa nota prima del voto fosse o meno costituzionale. Era il via libera al dissolvimento del partito. Una cosa già vista con altri organismi come il Phak Anakhot Mai – o Future Forward Party – dissolto nel febbraio 2020 dopo la buona performance alle legislative del 2019. Pita ne aveva raccolto il testimone...