Westgate: si disinforma per celare inefficienza e corruzione

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“Il governo keniano farà di tutto per evitare che le informazioni sull’attacco terroristico al Westgate di Nairobi siano rese pubbliche. E questo per nascondere l’incapacità dei loro servizi di intelligence e la corruzione di cui gli apparati di Stato sono permeati e che hanno reso possibile un tale buco nella sicurezza”. Non usa mezzi termini Gerard Prunier, storico del Centro sudi africani di Parigi, profondo conoscitore e autore di numerosi libri sul continente, nel commentare alla MISNA l’attacco al centro commerciale di Nairobi da parte di un gruppo affiliato ad Al Shabaab.

In questi giorni sulla stampa keniana e all’interno del paese, infuria la polemica sull’attacco e le falle nel sistema di sicurezza, cosa ne pensa?

Credo che il governo abbia una responsabilità infinita per quella che è accaduto. I segnali c’erano stati e gli indicatori avevano funzionato. Numerosi rapporti erano arrivati sulle scrivanie delle autorità competenti senza che queste riuscissero a fare niente per evitare la tragedia. I terroristi hanno potuto affittare un negozio, portarci dentro un arsenale e superare i controlli fischiettando. Infine sono riusciti a scappare attraverso le fognature. Sarebbe persino comico, se non ci fossero stati 60 morti.

Perché adesso e perché Nairobi?

Gli insorti somali hanno messo in piedi l’operazione per recuperare credibilità dopo le perdite sul terreno e le spaccature interne al movimento. Tra i loro obiettivi c’è sicuramente quello di racimolare un po’ di soldi, mostrando che sono ancora un’organizzazione competente e capace di fare le cose “in grande”. Gettano fumo negli occhi però, perché le difficoltà al loro interno rimangono.

Ad esempio?

L’attuale capofila del movimento, Sheikh Mukhtar Abu-Zubeyr ‘Godane’ – che ha ripreso la guida dell’organizzazione dopo aver fatto uccidere Abu Mansur al Amriki e aver ottenuto la cattura di Hassan Dahir Aweys – crede di aver ottenuto una vittoria che rafforzerà la sua leadership. Ma è e rimane un Issaq originario del Somaliland, praticamente uno straniero, che non riuscirà ad attirare le simpatie delle giovani generazioni somale. L’attacco ha risposto ad una delle caratteristiche costanti del movimento, nato come costola militare dell’Unione delle Corti Islamiche, di ergersi ad avanguardia di un risentimento diffuso contro la continua ingerenza nella crisi somala di attori esterni, come Etiopia e Kenya.

Prevede dunque, che l’assalto al Westgate segni l’inizio di una nuova era per il Kenya?

Quello che vedo è che le autorità di Nairobi hanno sottovalutato una priorità non negoziabile – quella della sicurezza. E che, in tutt’altra vicenda, la folle strumentalizzazione cui è sottoposta la Corte penale Internazionale (Cpi) da parte del presidente Uhuru Kenyatta e dei suoi soci all’Unione Africana, lascia intendere uno spregio del diritto che va facendosi sempre più diffuso nelle istituzioni keniane. Segnali che il paese non sta andando nella direzione in cui dovrebbe e in cui i cittadini, stanchi di lassismo e corruzione della classe politica, vorrebbero che andasse.

Da Misna.org

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