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ll conflitto e l’attivismo nel Sahara Occidentale
Riconciliazione
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Foto: Unsplash.com
Sono passati sei mesi dalla ripresa delle armi ma la situazione per la popolazione saharawi resta congelata. Una sensazione che conoscono bene gli abitanti dei campi profughi nel deserto algerino, così come chi vive nel Sahara Occidentale. Il bollettino di guerra dell’Esercito popolare di liberazione saharawi (SPLA) arriva puntuale ogni giorno. Siamo al 189esimo.
In tutti si riportano notizie di “bombardamenti contro le forze nemiche lungo il muro della vergogna nel Sahara Occidentale”. Il Ministero della Difesa Nazionale ha riferito domenica 16 maggio, nella sua 186 dichiarazione militare, che l’Esercito saharawi ha lanciato intensi bombardamenti contro le posizioni nemiche nel muro militare marocchino. “Anche se il Marocco nega la distruzione – si conclude il bollettino – e il caos alle sue basi. Il nemico ha subito perdite nel suo arsenale e perdite nelle sue file”. In effetti il Marocco scrive e ha scritto poco (per non dire nulla) delle operazioni militari in corso. Le poche informazioni sugli scontri in atto che si riescono ad estrapolare si trovano sulla pagina Facebook non ufficiale dell’esercito marocchino forum Far-Maroc. Vige infatti il divieto di ingresso per operatori umanitari e giornalisti nei territori occupati e nelle zone di guerra.
Intanto nei Territori del Sahara Occidentale un caso ha attirato l’attenzione internazionale, quello dell’attivista Sultana Khaya. Diventata simbolo della lotta del suo popolo, è presidente dell’organizzazione Lega per la difesa dei diritti umani e contro il saccheggio delle risorse naturali a Boujdour, città del Nord del Sahara Occidentale, controllata dal Marocco.
Nel 2007, durante un’aggressione subita dalla polizia all’Università Cadi Ayyad di Marrakech, ha perso l’occhio destro. Negli anni ha organizzato decine di manifestazioni e documentato gli abusi delle forze di occupazione soprattutto nei confronti delle donne saharawi e ha partecipato anche al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni unite. Anche Human Rights Watch e Amnesty International hanno denunciato la situazione in cui vivono lei e la sua famiglia.
Da mesi Sultana vive infatti assediata dalle forze di sicurezza, appostate sotto la sua abitazione, giorno e notte. L’11 maggio l’attivista ha denunciato di essere stata violentata, insieme alla sorella, con bastoni dalle forze del regime marocchino...
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