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Vittime per fede o credo: oggi la Giornata internazionale
Riconciliazione
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Foto di Ali Azad da Pexels
360 milioni. Questo è il numero assoluto dei cristiani che sono stati discriminati o che soffrono di gravi forme di abusi. Corea del Nord, Somalia, Yemen, Eritrea, Libia, Nigeria, Pakistan, Iran, Afghanistan, Sudan: secondo le rilevazioni di Porte Aperte quella appena riportata è la top ten del 2023 dei Paesi dove i fedeli di religione cristiana sono perseguitati “in maniera estrema” e discriminati per la loro fede. “Discriminazione” è un eufemismo per indicare incarcerazione, se non condanna a morte. Piccola nota: quest’anno l’Afghanistan è scesa alla 9° posizione dalla 1° ricoperta nel 2022 non per l’affermarsi di migliori condizioni per i fedeli ma per l’alto numero di cristiani fuoriusciti dal Paese: di fatto oggi in Afghanistan i talebani con violenza non consentono di praticare alcuna fede al di là di quella islamica.
Sono però proprio i musulmani a essere i più perseguitati al mondo. Secondo il rapporto completo stilato dalla Commissione statunitense sulla libertà di credo internazionale (USCIRF, United States Commission on International Religious Freedom), sono 1301 le vittime musulmane di violenza nel solo 2022. In India in particolare, Paese di cui circa l’80% è di fede indù, i musulmani sono 140 milioni mentre i cristiani rappresentano il 2,3% della popolazione (circa 28 milioni di persone), emerge uno dei fenomeni più gravi di persecuzione; Genocide Watch ha segnalato, ad esempio, lo scorso 24 dicembre uno degli ultimi significativi episodi di violenza verso la comunità musulmana quando alcuni capi religiosi indù hanno invocato il genocidio dei musulmani durante un evento pubblico.
Ai musulmani, seguono i perseguitati cristiani ripartiti nelle sue diverse correnti, poi i praticanti di Falun Gong (molti dei quali buddhisti) e infine i Bahá'í.
“Perseguitati per cosa?”, viene immediatamente da chiedersi. “Per difendere la sicurezza nazionale” è la risposta ipocrita più usata; del genere che i fedeli ascoltano e fanno riferimento a un’altra autorità potenzialmente in concorrenza con la governance del Paese. La persecuzione passa quindi attraverso l’accusa di terrorismo, estremismo, separatismo, sovversione, affiliazione a un gruppo bandito o a una setta. A questa seguono ragioni imputate alla blasfemia e ai discorsi d’odio; infine, di frequente si ricorre all’accusa di provocare disordine pubblico o il rifiuto del servizio militare. Si rileva, inoltre, che una vittima su tre non viene accusata di alcun reato ma resta comunque in carcere o viene torturata e forzata ad abiurare alla sua fede o “scompare” senza lasciare traccia. La strumentalizzazione delle religioni o delle credenze la fa da padrone laddove il potere politico usa la propria influenza per realizzare altri programmi politici e anche per limitare la concessione o il rispetto di determinati diritti umani.
Oggi, 22 agosto, ricorre la Giornata internazionale di commemorazione delle vittime di atti di violenza basati sul credo religioso. Indetta dall’Assemblea Generale dell’ONU nel 2019 per condannare con forza il persistere della violenza e degli atti di terrorismo nei confronti delle persone, sulla base delle loro convinzioni religiose o personali, gli Stati membri intendono affermare che terrorismo ed estremismo violento non devono essere associati ad alcuna religione, civiltà o gruppo etnico. La libertà di religione o di credo, la libertà di opinione e di espressione, il diritto di riunione pacifica e il diritto alla libertà di associazione sono diritti fondamentali, tra di loro interdipendenti, sanciti dagli articoli 18, 19 e 20 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. La lotta contro l’odio religioso e l’incitamento alla violenza sono di fondamentale importanza per arrestare il numero e l’intensità di questi episodi che risultano in continuo aumento nel mondo. Troppo spesso le vittime sono private del diritto di partecipare pienamente alla vita politica, economica e culturale, nonché del diritto all’istruzione e alla salute. Periodicamente ricorrono ai telegiornali notizie della profanazione e della distruzione di siti del patrimonio culturale di un territorio, e dal grande valore storico e religioso, come luoghi di culto e cimiteri. Per questa ragione, ancora nel 1981, era stata adottata la Dichiarazione per l’eliminazione di tutte le forme di intolleranza e discriminazione basate sulla religione o sul credo. Tuttavia dopo 40 anni la Dichiarazione resta tale, ovvero un elenco di meravigliosi propositi non trasposti nelle disposizioni di un Trattato internazionale vincolante a livello giuridico. Inoltre, troppo spesso l’attribuzione dell’etichetta di discorso d’odio o di offesa ai sentimenti religiosi altrui viene usata come pretesto per mettere a tacere una voce critica e punire i non credenti.
Almeno oggi teniamolo bene a mente. E da domani pensiamo e agiamo di conseguenza.
Miriam Rossi

Miriam Rossi (Viterbo, 1981). Dottoressa di ricerca in Storia delle Relazioni e delle Organizzazioni Internazionali, è esperta di diritti umani, ONU e politica internazionale. Dopo 10 anni nel mondo della ricerca e altrettanti nel settore della cooperazione internazionale (e aver imparato a fare formazione, progettazione e comunicazione), attualmente opera all'interno dell'Università degli studi di Trento per il più ampio trasferimento della conoscenza e del sapere scientifico.