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Un primo accenno di pace per la Repubblica Centroafricana?
Riconciliazione
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La Comunità di Sant’Egidio ci riprova a portare la pace sul continente africano: la nuova “mission impossible” si chiama Repubblica Centroafricana. Le virgolette sono però d’obbligo per un movimento che in passato è riuscito a portare attorno a un tavolo negoziale gruppi da anni in guerra fra loro. Ben 27 mesi è durata la mediazione messa allora in campo dalla Comunità di Sant’Egidio, con il supporto del Ministero degli Esteri italiano, per stipulare a Roma il 4 ottobre 1992 lo storico accordo di pace fra Frelimo e Renamo, che segnò la conclusione della guerra civile in Mozambico.
Oggi altro Stato africano, altro contesto storico-politico globale, ma stessi mediatori per la pace e un obiettivo chiaro: pacificare la Repubblica Centroafricana. Il 27 febbraio scorso nella sede della Comunità di Sant’Egidio a Roma è stato sottoscritto un accordo pre-elettorale tra i leader delle principali forze politiche della Repubblica Centroafricana in vista delle elezioni che decreteranno il nuovo presidente entro il prossimo agosto. “Un segnale di speranza per tutti”, lo ha definito Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio ed ex ministro per la Cooperazione Internazionale e l’Integrazione sotto il governo Monti. Il messaggio per la riconciliazione nazionale si configura come un vero e proprio appello al popolo centroafricano e alla comunità internazionale per dare un sostegno congiunto al processo di ricostruzione politica e istituzionale del Paese, oltre che per la stabilità dell’intera Regione. A partire dal colpo di Stato di due anni fa da parte del gruppo di opposizione Séléka, che il 24 marzo 2013 ha rimosso il presidente Francois Bozizé, il territorio è dilaniato da violenze diffuse che hanno indotto la popolazione alla fuga. Su appena 5 milioni di abitanti, 400mila persone si sono rifugiate nei Paesi vicini e un milione circa vive in campi profughi che sono stati allestiti sul territorio: la popolazione centroafricana è, dunque, per un 25% circa profuga. I gruppi armati continuano a controllare determinate porzioni della Repubblica, impedendo il ritorno delle persone nelle loro case e un riavvio dell’assetto democratico del Paese.
In questo contesto, l’appello patriottico lanciato da Roma al popolo centroafricano da parte dei politici presenti, tra cui quattro ex primi ministri, la vice-presidente del parlamento di transizione, la presidente del Comitato per il “Forum nazionale di Bangui” (per la riconciliazione) e altri tre importanti leader politici candidati alle prossime elezioni nazionali, costituisce una concreta azione di riconciliazione per una rinascita della Repubblica Centroafricana. All’incontro, significativamente, non sono stati invitati i rappresentanti delle milizie Séléka e Antibalaka che si stanno fronteggiando sul terreno centroafricano e che poco hanno fatto in questi ultimi anni, se non devastare il Paese. È dunque la politica che deve levare la sua voce, al di sopra del fragore delle armi, e tornare a governare. Come? Innanzitutto acconsentendo lo svolgimento pacifico, libero e democratico delle elezioni presidenziali. In secondo luogo, attraverso l’accettazione (non scontata) del risultato determinato dalle consultazioni elettorali: i futuri governo e opposizioni si sono sin da ora impegnati a inaugurare un tavolo comune di lavoro e a collaborare per l’attuazione di un programma di rinascita del Paese. Infine, elemento non di poco conto, l’intera comunità internazionale è chiamata a garantire l’ordine pubblico durante le elezioni e negli immediati mesi successivi, non abbandonando dunque immediatamente il Paese a seguito dell’esito elettorale ma contribuendo alla ricostruzione del tessuto sociale profondamente sconvolto dalla guerra.
L’obiettivo principale appare dunque quello di riprendere progressivamente il controllo dell’intero Paese e il ritorno a casa della popolazione. Un intento che avrà di certo ripercussioni nell’intera area in cui si colloca lo Stato, alle prese non solo con le decine di migliaia di rifugiati centroafricani ma anche con le milizie di Boko Haram che impazzano in Nigeria, Ciad e Camerun, con gli scontri nel Sud Sudan e la presenza nell’est del Paese dei guerriglieri della Lord Resistance Army di Joseph Kony. La stabilizzazione e il ritorno alla pace in Repubblica Centroafricana non potranno che avere delle influenze positive sui territori limitrofi, dando un esempio di convivenza fra cristiani (circa la metà della popolazione), musulmani (10-15%), a cui si affiancano animisti e altri fedeli di confessioni tradizionali. Un elemento che fra l’altro lascia spazio a riflessioni su quanto la componente religiosa sia da considerare un elemento puramente accessorio alla violenza delle milizie armate che hanno messo a ferro e fuoco il Paese.
Il conto alla rovescia prima del banco di prova elettorale ha avuto inizio. Oggi si è conclusa la missione EUFOR RCA (European Union Force) in Repubblica Centroafricana: lo stanziamento nel Paese della forza multinazionale dell’UE lo scorso febbraio, a seguito della risoluzione 2134 del Consiglio di Sicurezza, ha avuto innanzitutto l’obiettivo di creare un ambiente sicuro e consentire l’assistenza umanitaria alla popolazione civile. I militari europei hanno inoltre coadiuvato nel dispiegamento degli oltre 10mila caschi blu della missione MINUSCA dell’ONU (United Nations Multidimensional Integrated Stabilization Mission in the Central African Republic), stanziati dallo scorso settembre a supporto del governo di transizione della Repubblica Centrafricana e a favore della riconciliazione e del dialogo tra le parti, premessa delle prossime elezioni presidenziali. Democrazia e concordia appaiono le parole d’ordine della pacificazione. Un pass che sembrano avere ben interiorizzato sulla loro pelle le centinaia di donne che hanno marciato a Bangui, la capitale del Paese, pochi giorni prima la Festa delle Donne: una manifestazione per chiedere la pace e per sottolineare l’enorme contribuito che possono dare le donne alla pacificazione nazionale.
Miriam Rossi

Miriam Rossi (Viterbo, 1981). Dottoressa di ricerca in Storia delle Relazioni e delle Organizzazioni Internazionali, è esperta di diritti umani, ONU e politica internazionale. Dopo 10 anni nel mondo della ricerca e altrettanti nel settore della cooperazione internazionale (e aver imparato a fare formazione, progettazione e comunicazione), attualmente opera all'interno dell'Università degli studi di Trento per il più ampio trasferimento della conoscenza e del sapere scientifico.