Prove di dialogo tra il governo colombiano e le Farc

Stampa

C’era una volta uno Stato ricco che si chiamava Colombia: i suoi terreni erano buoni da coltivare, l’acqua e i boschi non mancavano, il sottosuolo forniva risorse utili per il riscaldamento e per altri fabbisogni della popolazione, le due immense distese d’acqua su cui si affacciava ricordavano a tutti i Paesi vicini che il territorio presentava una delle più ampie biodiversità del pianeta. Il benessere in questo Stato avrebbe dovuto essere palpabile e ampiamente diffuso, tuttavia non tutti i suoi cittadini conducevano una facile esistenza. La colpa era da attribuire al più che cinquantennale conflitto interno, a un forte squilibrio tra ricchi e poveri apparentemente inconciliabile con il livello di crescita dell’economia che il mondo gli invidiava, e anche i suoi beni di esportazione alimentavano la disuguaglianza e la guerra. Un bel giorno qualcosa iniziò a cambiare: i cittadini di quello stesso Stato, con il sostegno di molti altri Paesi vicini e lontani, si resero conto che solo con la pace e con il raggiungimento di una ridistribuzione della ricchezza e dei beni del territorio fra tutta la popolazione avrebbero vissuto felici e contenti.

Un lieto fine è d’obbligo in una fiaba per bambini, così come una morale. Difficilmente però la storia recente della Colombia potrà avere l’uno e l’altra a breve, nonostante alcuni suoi caratteri possano apparire “una favola” all’interno della comunità internazionale. Le ragioni?

Oggi la Banca Mondiale annovera la Colombia tra i Paesi a reddito medio/alto, con un Pil pro capite di 12.400 dollari annui, in costante crescita negli ultimi anni. È il primo paese al mondo per produzione di caffè e di smeraldi, e il quarto per ricchezza di acqua; possiede un decimo dell’Amazzonia; è esportatore di petrolio e, negli ultimi anni, di coltan, il noto minerale indispensabile al funzionamento di tutti gli apparecchi hi-tech. Questi dati reali hanno persino indotto l’Organizzazione per il Commercio e lo Sviluppo Economico (OCSE) ad aprire al governo di Bogotà i negoziati per la sua ammissione. Ci sono però anche altri indicatori di cui tener conto: in base al coefficiente di Gini, che esprime tra l’altro il livello di disuguaglianza all'interno di un Paese nella distribuzione del reddito, ben 20 milioni di colombiani (pari al 35% dell’intera popolazione) versano in condizioni di povertà, e il 10% di questi in povertà estrema. Una situazione insostenibile e aggravata peraltro dal contesto di conflitto in cui la Colombia si trova di fatto dal secondo dopoguerra: la guerra tra lo Stato e i gruppi guerriglieri, la presenza di gruppi paramilitari illegali, le coltivazioni illecite di coca, la sempre più forte febbre mineraria da parte di grandi multinazionali con i rischi ecologici e sociali che si trascina, e infine, non di minor gravità, le tensioni intorno al tema della restituzione delle terre e di liberazione dalla loro concentrazione oligarchica.

Non è un caso che proprio la riforma agraria sia stata oggetto di una prima formula di accordo nei negoziati in corso da più di 6 mesi, seguiti con attenzione da Unimondo, tra il governo colombiano e i rappresentanti delle Farc (Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia), il noto gruppo paramilitare colombiano di lotta politica che delle rivendicazioni dei “campesinos” ha fatto la propria bandiera. Nella dichiarazione congiunta resa alla fine dell’incontro all’Avana del 27 maggio scorso, entrambe le parti hanno assicurato che ci “sarà una riforma integrale della realtà rurale e agraria, con equità e democrazia”, e nondimeno potrebbe essere, dato che il 94% del territorio della Colombia è rurale e il 32% della popolazione vive in quell’area. Seppure i dettagli dell’accordo non siano interamente noti, si percepisce che sono state fatte alcune concessioni alle Farc, visto che sarebbero stati inclusi temi cari alla guerriglia come l’accesso e l’uso della terra, ed in particolare la proprietà delle terre improduttive atta a ridurre la povertà nelle campagne.

Il cauto ottimismo con cui è stato accolto il processo di pace è assolutamente d’obbligo, dati i clamorosi insuccessi dei tanti tentativi precedenti. Ulteriore prudenza induce il fatto che i negoziati sono soggetti all’approvazione in blocco di tutti i suoi punti (oltre alla questione agraria, sulla partecipazione politica, sulla fine del conflitto, sulla soluzione al problema delle droghe illecite e sulle vittime), poiché “non c’é nessun accordo finché tutto è concordato”. Tuttavia, per la prima volta nella storia della Colombia il 72% della popolazione appoggia e sostiene il processo di pace, escludendo una risoluzione del conflitto per via militare: d’altra parte l’accordo e la modernizzazione delle zone rurali avrebbe delle ripercussioni impressionanti in termini di sviluppo agrario, infrastrutture, scuole e strade. Un’ottima notizia per tutti, dunque.

Miriam Rossi

Ultime su questo tema

Basta guerra fredda!

30 Agosto 2025
Il recente vertice di Anchorage ha aperto spiragli per un futuro meno segnato da conflitti e contrapposizioni. (Alex Zanotelli e Laura Tussi)

Global Sumud Flotilla: resistere per esistere

29 Agosto 2025
Dal Mediterraneo a Gaza: la più grande flottiglia civile mai organizzata per denunciare il genocidio e portare solidarietà al popolo palestinese. (Articolo 21)

Un candidato presidente ucciso in Colombia accende il clima delle presidenziali

23 Agosto 2025
L' omicidio dell'ex senatore Miguel Uribe Turbay scalda ancor di più il clima in Colombia. (Atlante delle guerre e dei conflitti del Mondo)

“Freedom Flotilla”: la violazione dei diritti umani e il silenzio dell’Occidente

18 Agosto 2025
La “Freedom Flotilla” fermata da Israele: l’attivista Antonio Mazzeo denuncia la violazione dei diritti umani e il silenzio dell’Occidente. (Laura Tussi)

Hiroschima, Nagasaki e il genocidio

09 Agosto 2025
Sono 80 anni dai bombardamenti nucleari di Hiroshima e Nagasaki del 6 e 9 agosto. (Other-News)

Video

'Invictus': Time to Rebuild Our Nation