Non serve un altro Stato in Africa

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La colonizzazione lascia sempre pesanti strascichi negativi. Gli antichi equilibri, completamente stravolti dalle potenze europee, stentano a ricostituirsi in seguito alla fine dell’occupazione da parte degli stranieri. Così è avvenuto in Marocco. Dopo la “Marcia Verde” del 1975 – evento che ha segnato la fine della presenza spagnola nel Regno – la situazione avrebbe potuto ritornare tranquillamente al passato: tra Marocco e Mauritania non ci sono mai stati problemi sui confini. Nessuno dei due Paesi si aspettava una spiacevole sorpresa: un gruppo di studenti sahraoui della facoltà di giurisprudenza dell’università di Rabat proclamò l’indipendenza del Sahara Occidentale con la conseguente separazione dal Marocco.

Nasceva così la questione dei sahraoui. Fin da subito la controversia ebbe come protagonista l’Algeria, ansiosa di mettere in difficoltà i “cugini” marocchini e desiderosa di coltivare il sogno di contare su un “corridoio” che le consentisse di raggiungere l’Atlantico. Proprio con la benedizione dell’Algeria nacque nel 1976 il Fronte Polisario, una sigla che sta per Fronte per la Liberazione della Sakia El Hamra (nome della regione contesa) e Rio de Oro (fiume presente nell’area).

Il Fronte aveva la sua base nel territorio algerino, a Tindouf, ed era guidato prima dall’ex membro del partito comunista marocchino El Ouali Mustapha Sayed, poi da Mohammed Abdelaziz El Marrakchi, nato e cresciuto nella città marocchina di Marrakech e attuale leader. L’appoggio algerino al Fronte Polisario è stato  da subito incondizionato, i generali algerini hanno messo a disposizione armi, supporto finanziario e logistico per i combattenti del Fronte che guidavano attacchi e raid partendo dall’Algeria. Essendo l’anello più debole nell’area, la Mauritania è stata il target più facile a colpire: i membri del Polisario sono arrivati fino al cuore della capitale Nouakchott. In seguito a questa guerra a bassa intensità, la Mauritania si è ritirata dal sua parte del Sahara Occidentale, in seguito ripresa dal Marocco. Il conflitto però continuava.

Tra il 1980 e il 1987 il Marocco ha costruito un muro di sabbia di circa l’85 % del territorio recuperato per proteggersi dagli agguati del Polisario. Nel 1991, il Consiglio di sicurezza dell’Onu con la resoluzioni 690 del 19 aprile è riuscito a stabilire un cessato fuoco tra le due parti, invitandole a trovare una soluzione pacifica del conflitto. Si trattava dello svolgimento di un referendum che decidesse sulla completa indipendenza del Sahara Occidentale. Il Marocco e il Fronte si erano detti favorevoli al referendum che doveva essere gestito da una specifica Missione Onu chiamata MINURSO e ancora oggi in campo. I problemi sorsero per l’individuazione del corpo elettorale: chi avrebbe potuto votare alla consultazione? Il Fronte continuò a battersi per un ristringimento del numero degli aventi diritto al voto, che in pratica doveva essere permesso soltanto ai sahraoui che erano sotto il controllo del Fronte stesso. Dopo tanti piani di risoluzione e varie iniziative dalla parte degli inviati dell’Onu da Perez De Cuèllar a James Baker, da Christopher Ross a  Van Walsum, non si è riuscto a raggiungere un compromesso.

Dopo la caduta del muro di Berlino, il Fronte Polisario, prima appoggiato dal blocco comunista e da quello dei non allineati, si è notevolmente indebolito e tanti Paesi hanno via via ritirato il loro riconoscimento alla “Repubblica Araba Sahraoui Democratica”. Il colonnello Moammar El Gheddafi, che aveva appoggiato il Fronte sin dalla sua nascità, non è più generoso e disponibile come era prima. Le relazioni con il Polisario sono rimaste vive fine agli ultimi giorni del Colonnello, catturato e poi ucciso. Si è tanto parlato dei mercenari Polisario che hanno combattuto a fianco di Gheddafi durante la cosiddetta Primavera Araba.

Come noto la controversia sul Sahara Occidentale ha causato la formazione di alcuni campi profughi, gestiti dal Fronte ma ovviamente sovvenzionati anche dalle Agenzie Onu, che sono ubicati in territorio algerino nell’area di Tindouf. La situazione dei campi, incancrenita dopo tanti anni, è anch’essa oggetto di conflitto e terreno di scontro degli opposti schieramenti: con il passare del tempo i campi e lo stesso Fronte rischiano di non rappresentare più le istanze dei sahraoui, lavorando per la propria sopravvivenza piuttosto che per la soluzione del conflitto. D’altra parte il Marocco incentiva in ogni modo i sahraoui a tornare nel loro territorio, ora sotto la sovranità marocchina.

Molti cercano di fuggire dai campi di Lahmada di Tindouf, in quanto la vita in quei luoghi inospitali risulta davvero difficile. Le testimonianze di molti fuoriusciti parlano di violazioni sistematiche dei diritti umani come il divieto di movimento (sia all’interno dei campi attraverso posti di blocco, sia all’esterno), la negazione della libertà di associazione, espressione e di riunione, l’impossibilità di garantire il diritto all’istruzione fino ad arrivare a vere e proprie vessazioni sulle persone. In questa situazione l’Algeria ha interesse di far vedere al mondo quanto sia insostenibile l’attuale assetto, benchè, in quanto Paese ospitante i campi profughi, avrebbe l’obbligo, in base al diritto internazionale, di assicurare una vita dignitosa ai rifugiati. Per ovviare alla questione da qualche anno l’UNHCR sta mettendo in piedi alcune iniziative che prevedono la possibilità per un ristretto numero di sahraoui di uscire dai campi per rivedere le loro famiglie in Algeria o per partecipare a seminari all’estero (per esempio ultimamente in Portogallo). Questa azione è più che altro simbolica e rischia di apparire di parte in quanto è ancora una volta il Fronte a decidere chi può uscire o meno. Il problema è però politico: la leadership del Fronte, ostaggio della propria storia e ancorata a vecchi schemi, è sempre più criticata soprattutto dai giovani.

L’unica soluzione praticabile resta quella di garantire uno statuto di autonomia per le regioni del Sahara, rimanendo sotto la cornice del Regno marocchino. Come si è visto nel caso del Sud Sudan, l’Africa non ha di certo bisogno della formazione di nuovi Stati indipendenti nati più per la convenienza  di altri Paesi piuttosto che per un’effettiva spinta nazionalistica. Inoltre quasi tutti gli attori regionali, tranne l’Algeria, temono che un sempre più improbabile nuovo stato del Sahara Occidentale possa essere infiltrato da gruppi terroristici legati ad Al Qaeda molto presenti nelle vicinanze.

Invece di pensare all’ennesimo staterello occorrerebbe puntare sul progetto del Maghreb Arabo Unito, unica formula in grado di comporre le differenze. Guardando però alla situazione odierna con l’Algeria che tenta di perpetuare il potere di Bouteflika (un regime che sicuramente non porterà nulla di nuovo) e con la Libia in preda al caos, sembra che la strada per la normalizzazione sia davvero lunga.

Hicham Idar

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