Kosovo, ai confini dell’Europa

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Nell’indifferenza dell’opinione pubblica europea, e soprattutto italiana, al di là dell’Adriatico si stanno giocando in questi giorni il futuro dei Balcani meridionali e la definitiva normalizzazione dell’intricata vicenda del Kosovo. Ricordiamo che la provincia serba a stragrande maggioranza albanese ha proclamato unilateralmente la propria indipendenza nel febbraio 2008 dopo vani tentativi di accordo con la controparte serba e con Russia e Cina: alla fine questa dichiarazione non ha avuto la legittimazione ONU bensì di 90 stati, inclusi gli Stati Uniti, e di 22 dei 29 Stati dell’Unione Europea. Per anni ha mantenuto una sostanziale tranquillità nella zona (non sono mancati gli scontri e gli incidenti soprattutto presso le enclaves serbe nel Kosovo) il contingente NATO della KFOR, che rimarrà non si sa per quanto, che si giustappone alla missione ONU UNMIK che trova la sua legittimazione in una risoluzione del Consiglio di Sicurezza, approvata dopo la fine della guerra del 1999. Un quadro molto intricato in cui si inserisce la chiusura, il 10 settembre scorso, dell’ufficio dell’ICO (International Civic Office), organismo creato dagli stati che hanno riconosciuto l’indipendenza del Paese per accompagnarlo nella transizione verso la piena adesione del Kosovo alla comunità internazionale.

Commentava questo passaggio il quotidiano croato Jutarnji List: “La Nato è ancora presente e la missione europea Eulex ha ancora diritto d’ingerenza nella giustizia. In questa situazione il termine «piena sovranità» non ha molto senso, tanto più che a causa delle divisioni in seno alla comunità internazionale e delle mancanze del potere kosovaro e delle missioni estere il Kosovo resta diviso: i serbi del nord continuano a non riconoscere l’autorità di Pristina… Le istituzioni kosovare sono state messe in piedi dall’esterno e non da elezioni democratiche. La comunità internazionale non ha fatto nulla dopo che gli osservatori europei avevano riscontrato gravi irregolarità nelle elezioni. [...] Per quanto riguarda la lotta alla corruzione, né le autorità kosovare né la missione Ue hanno brillato per efficacia… La fine dell’indipendenza sorvegliata dipende più dalla voglia dei partner esteri di smettere di occuparsi del problema e di spendere soldi che dai progressi di Pristina. Nonostante abbia dichiarato di voler evitare il ripetersi degli errori commessi in Bosnia-Erzegovina, la comunità internazionale non ha saputo scongiurarli, e Nato e Ue saranno obbligate a restare ancora a lungo in Kosovo. Tuttavia la decisione di concludere la supervisione è un messaggio forte alla Serbia: l’indipendenza del Kosovo è incontestabile e Belgrado dovrà rassegnarsi ad accettarla”.

Ma la vera partita sembra giocarsi a quattro: da un lato la Serbia, dall’altro l’Albania e il Kosovo e al centro l’Unione Europea. Nel marzo 2012 la Serbia è diventata ufficialmente un “paese candidato” all’adesione alla UE: ma dopo le elezioni di maggio che hanno visto la vittoria dei conservatori, l’entusiasmo si è raffreddato. Ricordiamo che l’Europa ha posto alla Serbia la condizione necessaria del riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo. “Se ci verrà chiesto ufficialmente di scegliere tra Ue e Kosovo, noi rinunceremo alla strada europea”, ha detto chiaramente il presidente Nikolic alcuni giorni fa. “La Ue ci tiene a distanza unicamente a causa del Kosovo. Ma ci potrà tenere fuori per altri cento anni, perché noi non cambieremo posizione sulla nostra provincia meridionale”.

Il 10 ottobreè stato reso noto il dossier sui vari paesi che dovrebbero entrare nell’Unione Europea. Ecco la sintesi che ne ha dato Lettera43: “Avanti con l’Albania (e anche il Kosovo). No alla Serbia, se prima non normalizzerà i rapporti con la sua ex provincia a maggioranza albanese. No anche alla Bosnia, e soprattutto no alla Turchia, dove preoccupa il deteriorarsi nel rispetto di alcune libertà fondamentali.

L’Unione europea non chiude tutte le porte all’ingresso di nuovi Paesi, nonostante la crisi e le grandi sfide per il futuro, ma chiede qualcosa di più.

Il segnale arriva con chiarezza da Bruxelles, soprattutto in direzione dei Balcani occidentali e in particolare dell’Albania, che ha le carte in regola per diventare il prossimo Paese candidato all’adesione, a patto che porti a termine alcune riforme”.

La situazione sembra essere arrivata ad un punto morto. In realtà non è così. Anzi la diplomazia è in fervente lavoro.

Sono notizie di queste ultime ore la visita del Primo Ministro serbo Ivica Dacic e quello kosovaro Hashim Thaci che hanno incontrato a Bruxelles separatamente Catherine Ashton, capo della diplomazia europea; mentre il Ministro degli Esteri serbo è stato a Tirana in una rarissima visita tra le due parti. Ultranazionalisti kosovari hanno protestato violentemente contro questi tentativi di dialogo.

Il problema maggiore risiede forse in aspetti più concreti quali l’economia e la salute della società soprattutto kosovara: il più giovane Stato d’Europa è attanagliato da corruzione, criminalità, disoccupazione, traffici illeciti di ogni tipo e vive grazie al sostegno estero. Su questo occorrerebbe discutere, anche se pare proprio che entrare nella UE sia per il Kosovo soltanto questione di tempo.

Piergiorgio Cattani

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