Il giorno 652 dall’invasione russa dell’Ucraina: uno stallo mortale

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Immagine: Atlanteguerre.it

Dice il soldato: “pensavamo che dopo essere arrivati lì, i russi sarebbero fuggiti. Invece no, non è successo”. La linea del fronte che corre lungo il fiume Dnipro resta incandescente. Gli ucraini cercano di creare una testa di ponte, portando con le barche tutto quello che serve: generatori, materiali, cibo. “Ho visto i miei compagni sparire nel fiume – continua il giovane ucraino – colpiti dall’artiglieria russa”. I russi sapevano che le forze armate di Kiev stavano arrivando. Si sono preparati. Tengono le posizioni, martellando le trincee ucraine con tutto quello che hanno: cannoni, missili, lanciafiamme.

Uno stallo mortale - lo ha definito così anche un comandante ucraino - che somiglia sempre più a quanto accadeva nella Prima Guerra Mondiale. Le due forze in campo al momento si equivalgono e nessuna prende il sopravvento. Il giorno 652 dall’invasione russa dell’Ucraina ci consegna questo quadro militare. Nulla di nuovo, in fondo. La mattanza prosegue e dissangua soprattutto Kiev, che sta gettando nella guerra di resistenza all’occupante russo ogni risorsa umana disponibile. Anche Mosca è a corto di uomini, tanto da avere allargato l’organico delle proprie forze armate, a cui verranno aggiunte 170mila persone nei prossimi mesi. L'organico a disposizione del Cremlino è stato fissato a 2.209.130 unità, di cui 1.320.000 militari. Il decreto che porta all’aumento spiega che tutto questo è dovuto "alle crescenti minacce legate alla guerra in Ucraina e ai rapporti sempre più tesi con la Nato”.

Intanto, al fronte muoiono i soldati. Nelle città soffrono e muoiono anche i civili ucraini, costretti al freddo dalla strategia russa. Centrali e impianti termici vengono colpiti in modo sistematico, con l’obiettivo di ficcare la voglia di resistenza ucraina. Nella solo notte fra il 6 e il 7 novembre, sull’Ucraina sarebbero stati lanciati quasi 50 droni, 41 dei quali sono abbattuti dai sistemi di difesa.

Una situazione che sta ovviamente creando tensioni politiche, dentro e fuori l’Ucraina. Il sindaco di Kiev, Vitaly Klitschko, si sta trasformando nel più grande critico del presidente ucraino Volodymyr  Zelensky. In un lungo intervento pubblico ha spiegato che "la gente si chiede come mai non eravamo meglio preparati per questa guerra, come mai Zelensky abbia negato fino alla fine che ciò sarebbe accaduto, o perché i russi siano riusciti a raggiungere Kiev così rapidamente. C'erano troppe informazioni che non corrispondevano alla realtà". Un attacco duro, un conto sospeso – ha aggiunto Klitshcko – che qualcuno dovrà primo o poi pagare: "il presidente oggi ha una funzione importante e dobbiamo sostenerlo fino alla fine della guerra. Ma alla fine di questa guerra ogni politico pagherà per i suoi successi o i suoi fallimenti".

Tensioni politiche che sembrano non sfiorare nemmeno Putin. Scortato da quattro caccia SU-35C, il capo del Cremlino è volato prima negli Emirati Arabi, poi in Arabia Saudita per parlare di affari e di petrolio. Due elementi interessanti da trarre. Il primo: i caccia militari di scorta hanno ottenuto il permesso di sorvolare tutta una serie di Paesi. Segno evidente di come la Russia – contrariamente a quanto sostiene la buona parte della stampa europea e statunitense – sia tutt’altro che un Paese isolato e goda di rapporti così buoni da lasciare che suoi aerei militari sorvolino Paesi stranieri. Seconda considerazione: Putin non è preoccupato dal mandato d’arresto emesso dalla Corte penale internazionale e ha ripreso i viaggi all’estero, almeno nei Paesi che non hanno aderito alla Corte.

Una prova di forza quella di Putin, che arriva proprio mentre negli Stati Uniti il presidente Biden lotta contro i repubblicani al Congresso. Sono contrari a concedere nuovi aiuti militari a Kiev e a dicembre i fondi a disposizione finiranno. Serve rinnovare l’impegno e il capo della Casa Bianca è in difficoltà. La responsabile del tesoro, Janet Yellen, ha avvertito i repubblicani sull’eventuale taglio di fondi militari e umanitari: “Saremmo responsabili della sconfitta dell’Ucraina”. Una sponda l’ha offerta il G7, la riunione dei Paesi più industrializzati alleati degli Usa. I capi di Stato dell’organizzazione si sono detti determinati a “sostenere un'Ucraina indipendente e democratica entro i suoi confini riconosciuti a livello internazionale e a sostenere l'Ucraina nell'ulteriore sviluppo della formula di pace del presidente Zelensky”. Una posizione ufficialmente sostenuta anche dall’Unione Europea, che però deve fare i conti con le defezioni annunciate da Ungheria e Slovacchia.

Raffaele Crocco

Sono nato a Verona nel 1960. Sono l’ideatore e direttore del progetto “Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo” e sono presidente dell’Associazione 46mo Parallelo che lo amministra. Sono caposervizio e conduttore della Tgr Rai, a Trento e collaboro con la rubrica Est Ovest di RadioUno. Sono diventato giornalista a tempo pieno nel 1988. Ho lavorato per quotidiani, televisioni, settimanali, radio siti web. Sono stato inviato in zona di guerra per Trieste Oggi, Il Gazzettino, Il Corriere della Sera, Il Manifesto, Liberazione. Ho raccontato le guerre nella ex Jugoslavia, in America Centrale, nel Vicino Oriente. Ho investigato le trame nere che legavano il secessionismo padano al neonazismo negli anni’90. Ho narrato di Tangentopoli, di Social Forum Mondiali, di G7 e G8. Ho fondato riviste: il mensile Maiz nel 1997, il quotidiano on line Peacereporter con Gino Strada nel 2003, l’Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo, nel 2009. 

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