Bosnia Erzegovina: domenica le affollatissime elezioni

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Le strade di Sarajevo traboccano di manifesti elettorali, volti e immagini formato 6x3 che cercano di rassicurare una popolazione allo stremo, fiaccata da una crisi economica senza pari e da una sfiducia ormai cronica rispetto a una politica corrotta a tutti i livelli amministrativi.

Domenica 12 ottobre i bosniaci saranno chiamati a dare il loro voto in quella che rappresenta la sesta tornata elettorale dalla fine della guerra. Una giornata in cui i circa 3,2 milioni di elettori dovranno scegliere le principali cariche delle due entità che compongono il Paese secondo quella struttura stabilita dagli accordi di pace di Dayton, la Federazione di Bosnia ed Erzegovina, a prevalenza musulmana e croata, e la Republika Srpska, a maggioranza serba, oltre al Distretto di Brčko.

Circa 1,2 milioni di cittadini della Republika Srpska eleggeranno il presidente che siederà a Banja Luka, i due vice presidenti e i componenti del nuovo Parlamento. Saranno invece 2 milioni i votanti chiamati a scegliere i futuri membri della presidenza tripartita della Federazione, un membro per ciascuna delle tre etnie costituenti (musulmana, croata e serba), la nuova Camera dei Rappresentanti e le assemblee dei Cantoni, le dieci entità locali dotate di un proprio parlamento e di un governo autonomo. Gli elettori del Distretto di Brčko, infine, potranno scegliere se esprimersi per l’entità serba o per quella croato-musulmana.

65 partiti, 24 candidati indipendenti e 24 coalizioni sono i numeri incredibili di una competizione che si preannuncia a fortissimo rischio astensionismo, così come accaduto nell’ultima tornata di elezioni locali, nel 2012, quando la percentuale dei votanti superava di poco il 44% degli aventi diritto.

Per la sola presidenza tripartita sono ben 10 i candidati bosgnacchi, 4 i croati e tre i serbi. Tanti i volti noti a cominciare da Fahrudin Radončić, leader della SBB, considerato il Berlusconi dei Balcani.

L’uomo d’affari, proprietario tra le altre cose del quotidiano Dvevni Avaz e della rete televisiva Alfa, è una delle figure più controverse della scena politica bosniaca e più volte è stato accusato di affari illeciti. Tra i favoriti anche Bakir Izetbegović, attuale membro bosgnacco della presidenza tripartita e figlio del primo presidente della Bosnia Erzegovina, Alija Izetbegović, candidato per il Partito d’azione democratica (SDA). Nel novero dei candidati spicca anche il nome di Emir Suljagić del partito Demokratska Fronta, ex giornalista, uno dei (pochi) bosniaco musulmani sopravvissuti al genocidio di Srebrenica. Fautore, in qualità di ministro dell’Educazione del Cantone di Sarajevo, di una proposta di legge affinché il voto di religione non facesse media nelle scuole del Cantone, fu duramente attaccato da un altro candidato, l’ex Gran Muftì Mustafa Ceric, fino a poco tempo fa principale autorità islamica bosniaca, al centro di numerose polemiche per le sue intransigenti posizioni di difesa della religione nell’ambito pubblico.

Ancora più serrato il confronto in Republika Srpska (RS), dove le prossime elezioni si preannunciano una sorta di referendum sull’operato del presidentissimo Milorad Dodik, a capo all’SNSD. I problemi interni dell’entità sono pressanti: le casse dello stato sono vuote, la disoccupazione a livelli eccezionali, la corruzione è in aumento, la gente è sempre più povera e sempre più persone scelgono la strada dell’emigrazione. La fiducia nello stesso partito al potere è ormai ai minimi, tanto che nei mesi scorsi sono in scesi a protestare contro il governo persino quei veterani tradizionalmente grandi elettori del Premier. Dodik sta giocando la sua campagna elettorale sulla falsariga utilizzata finora di richiamo al nazionalismo serbo contro le minoranze bosniache e croate, ma le problematiche sono evidenti: alcuni sondaggi lo danno perdente rispetto a Ognjen Tadić dell’SDS (Alleanza per il cambiamento), ex partito alleato di Dodik.

Nel frattempo, un terzo soggetto si sta facendo strada nella competizione in Republika, ed è la coalizione Domovina (Patria), che rischia di rubare seggi ai due partiti di maggioranza. Formatasi pochi mesi fa per iniziativa dell’organizzazione “Prvi Mart” (Primo Marzo), la coalizione mira a far leva sui voti dei bosniaci della diaspora, esortandoli a registrarsi come cittadini della RS per poter esercitare qui il loro diritto di voto, così come successo per “Ja glasacu za Srebrenicu” (“Un voto per Srebrenica”).

Nel 2012 quell’esperienza permise di eleggere un sindaco musulmano nel cuore del territorio dove si consumò il peggior genocidio dalla seconda guerra mondiale

: l’obiettivo è di bissare quel successo riuscendo a ottenere una maggioranza consistente in Parlamento. Le difficoltà non mancano e, nonostante le esortazioni del Presidente della Commissione elettorale Stjepan Miksic a una campagna elettorale all’insegna dei toni moderati, senza incitamenti alla retorica nazionalista o all’odio rispetto alle altre etnie, sono numerosi gli abusi denunciati dagli attivisti che segnalano difficoltà e problemi nel rilascio dei documenti elettorali.

Del tutto assente dal dibattito politico pre-elettorale, invece, la questione delle discriminazioni e della sentenza “Sejdić-Finci”, che obbliga le istituzioni a una riforma della Costituzione che preveda la possibilità di essere eletti nelle principali cariche dello stato anche per i gruppi etnici non costituenti.

Un caso ribadito dall’ex candidata dell’SDP Azra Zornić, che ha fatto ricorso alle autorità per avere il diritto di candidarsi alla Camera dei Popoli semplicemente come “cittadina bosniaco-erzegovese”. Un elemento che grava sull’eventuale processo di entrata della Bosnia ed Erzegovina nell’Unione Europea, ma che fatica ad emergere dalla posizione marginale in cui è al momento relegato nel dibattito politico interno.

Intanto il Paese aspetta un cambiamento che tarda ad arrivare, nonostante le tante, troppe promesse scritte sui manifesti elettorali.

Simona Silvestri

Fonte: polisblog.it

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