La piazza dei Michele

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Immagine: Unsplash.com

Attorno alla piazza, o alle piazze, del 15 marzo c’è ancora molta confusione. Ci sono le adesioni, anche importanti, e chi si sfila. Chi resterà a casa e chi in piazza ci andrà, ma in una piazza diversa da quella indicata da Michele Serra cui si deve il sasso nello stagno datato 15 marzo. Il rischio di due piazze ci sembra il peggior prodotto di questa confusione che alla fine si tradurrà in un’ennesima divisione. L’ultima cosa di cui abbiamo bisogno.

Come che sia, il diritto a manifestare le proprie idee, quantunque confuse, è sancito dalla Costituzione e ben ci guardiamo dall’invitare qualcuno a scegliere quella o quell’altra angolazione della piazza o a restare a casa. Ma noi questo faremo. Prima ancora dei contenuti infatti ci ha stupito il metodo. Un metodo già visto qualche tempo fa con il lancio di un fronte contro la guerra impersonato da Michele Santoro. Adesso è la volta di un altro Michele, spalleggiato da un giornale che la confusione sulla guerra ucraina ha contribuito ad aumentare. I due Michele, due profili noti al grande pubblico e che si improvvisano leader politici e attivisti a tempo determinato, impersonano un modo di fare politica quantomeno individuale che non ci convince. Ci si alza con una buona idea (fermare la guerra o sostenere l’Europa) e si lancia un appello cui tutti possano aderire riempiendo man mano di contenuti un pio desiderio e sperando che men mano si riempia anche la piazza. 

Noi che eravamo abituati a scelte collettive, a scelte che nascono dal basso e non (solo) dai vertici, noi che sguazziamo volentieri nell’acqua dei movimenti anche quando si trasforma in palude, noi cui piace ragionare sulle cose, siamo rimasti un po’ perplessi su questo modo di agire in solitario. Fummo perplessi con Michele 1, siamo perplessi con Michele 2. Ma non buttiamo strali di violenta polemica su chi, confuso o non confuso (difendere l’Europa ma quale? Quella del riarmo per fare ”gli eserciti europei”?), scenderà in piazza da qui a cinque giorni. Continuiamo però a pensare che un movimento che ragiona e si spende sulla guerra già c’è e non si nutre di scelte individuali ma si sforza, anche se non sempre riuscendoci, a fare rete. Questo ci piace, queste sono le piazze che vogliamo. Non quelle dove si accende il cerino che, una volta bruciato, ha esaurito tutta la sua carica vitale. Il confronto e la sfida – per l’Europa e contro la guerra – si fanno giorno per giorno e non soltanto il 15 marzo.

Come si diceva un tempo, sfilare non basta. Senza contenuti forti e condivisi – vorremmo dire anche sofferti – una piazza piena è solo una prova di forza che non modificherà le sorti dell’Europa né quelli della guerra. Il 16 marzo, il focherello si spegnerà e qualcuno resterà anche col cerino in mano.

Emanuele Giordana

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