Iraq: i bombadamenti silenziosi e la crisi politica

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Settemila famiglie in fuga, 150 morti ufficiali secondo le dichiarazioni del comando americano, oltre 200 arresti, un numero imprecisato di vittime, feriti, sfollati secondo le organizzazioni umanitarie. È Tal Afar, città del nord iracheno, a ovest di Mosul, molto vicina al confine siriano, da quasi tre settimane sottoposta a continui bombardamenti da parte degli eserciti Usa e iracheno. Di Tal Afar finora si è saputo poco e nulla, anche se la situazione per i suoi abitanti è pesantissima da molto tempo: lo hanno denunciato le associazioni umanitarie della zona, lo ha fatto "Doctors for Iraq" nei suoi appelli rimasti inascoltati. Non è una novità il fatto che le associazioni umanitarie irachene, così come la società civile irachena non riescano a farsi sentire in Occidente, nonostante la crisi umanitaria sia stata denunciata anche dalle Nazioni Unite: anche per questo è nata l'iniziativa di Un Ponte per…, legata anche al nuovo progetto "Diritti dentro", che in questi giorni sta portando in giro per l'Italia esponenti di queste associazioni, per parlare, raccontarsi, confrontarsi, cercare sostegno e solidarietà.

La situazione in Iraq non può essere considerata una semplice dicotomia tra buoni e cattivi, come scrive Jan Benvie: in mezzo, e sono la maggior parte, ci sono gli innocenti. Mentre viene chiuso il confine con la Siria, secondo il governo iracheno per impedire l'accesso dei "combattenti stranieri", il comando americano dichiara città sicura Najaf , e la riconsegna, almeno formalmente, all'autorità irachena. Non è chiaro cosa sia una città sicura, e quando possa esserlo considerata: non lo è Haditha, tra bombardamenti e milizie islamiche, non lo è Bassora, nella zona sotto comando britannico, dove ai problemi provocati dalle milizie e alla violenza contro le donne, si sommano i problemi quotidiani.

Non è facile, spesso non è comodo, parlare di questo: della ricostruzione che non va avanti, del petrolio che c'è in abbondanza ma che non basta per dare elettricità alla popolazione.

 

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Non è solo una questione di attacchi alle infrastrutture, che pure ci sono e in alcuni periodi sono determinati: è un razionamento deciso dalla politica economica del governo, che però diventa, agli occhi della popolazione, vessazione. E rabbia.

Molto invece si parla della Costituzione, considerata un atto politico decisivo, ma che ancora, a cinque settimane dal referendum, non conosce una versione definitiva. C'è la bozza presentata il 22 agosto, poi "consegnata", dopo ulteriori discussioni e modifiche, all'Assemblea Nazionale il 28 agosto, ma non messa ai voti. Le Nazioni Unite , incaricate di stampare i 5 milioni di copie del testo da consegnare agli elettori, si rifiutano di farlo, poiché ancora non hanno ricevuto un testo ufficiale. L'ultima versione , quella del 28 agosto, da molti è considerata quella definitiva, perché in pochi credono che ci sia la possibilità di altri emendamenti, e il tempo è ormai scaduto. In questa situazione, quello che colpisce di più gli analisti è proprio la fretta con cui l'Amministrazione Bush ha voluto che il progetto fosse presentato, a dispetto di quelli che erano i problemi e le discussioni in corso.

Non è un caso che già sia cominciata una "campagna referendaria", che mira soprattutto a far bocciare il testo al referendum fissato per il 15 ottobre: l'ex premier Allawi si propone come leader di uno schieramento che unisca sciiti e sunniti, assemblee e incontri si tengono in Iraq e fuori dall'Iraq, il leader radicale sciita Moqtada Al Sadr cerca alleanze e consensi tra gli sciiti che desiderano un Iraq unito, e i sunniti si organizzano in un nuovo partito politico che dia voce a queste istanze. E' dalla tragedia del ponte di al Aima a Baghdad, che ha visto la morte di quasi mille persone, che viene una lezione di solidarietà e unità, che il progetto di Costituzione non riesce a riflettere.

Fonte: Osservatorio Iraq

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