Diamanti: non sono per sempre, ma insanguinati si vendono ancora

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Senza forse esserne pienamente consapevole, la supermodella somala Imam ha inflitto un duro colpo ad uno dei logo pubblicitari più famosi al mondo: "Diamonds are forever". Ora non più. La 'cover girl' della De Beers ha infatti deciso di sciogliere il contratto pubblicitario che la legava all'azienda leader mondiale di diamanti. Lo annuncia, non senza sorpresa, la ong britannica Survival. Per due anni Survival ha condotto una campagna chiedendo alla modella somala di abbandonare quel ruolo documentando l'operato della De Beers nei confronti dei Boscimani del Botswana. In questi anni la De Beers è riuscita ad ottenere dal governo del Botswana il rilascio di concessioni per l'estrazione di diamanti nella riserva del Kalahari costringendo così le popolazioni indigene boscimane ad abbandonare la propria terra per altri insediamenti assegnati loro con la falsa promessa di riceve scuole, assistenza sanitaria, appezzamenti di terra, bestiame e denaro.

In una recente intervista al settimanale britannico "Radio Times", la modella somala aveva sostenuto al riguardo: "E' chiaro che i Boscimani vengono distrutti - spostare quel popolo dalla propria terra significa condannarli all'Aids, alla droga e all'alcool mascherati come progresso". La decisione della modella somala - il cui volto appare tuttora sul sito della De Beers e su numerose riviste italiane in edicola proprio in questi giorni - ha sorpreso felicemente Survival. "Siamo entusiasti. Abbiamo fatto questa campagna per anni e siamo contenti che Imam abbia deciso non rappresentare più la De Beers" - ha commentato il direttore della ong britannica Stephen Corry.

Ma i "diamanti insanguinati" possono ancora essere venduti nei negozi occidentali. Lo documenta un recente rapporto di Global Witness. L'indagine dimostra infatti che le maggiori catene mondiali di negozi di gioielli non hanno ancora messo in atto le norme che mettono al bando i "diamanti insanguinati", quei diamanti, cioè, che provengono da zone di guerra.

 

Il Rapporto di Global Witness
Broken Vows

Gli addetti dell'ong britannica hanno passato in rassegna trenta gioiellerie delle quattro principali metropoli statunitensi scoprendo che solo quattro direttori dei negozi erano al corrente delle norme concernenti i famigerati diamanti. E su trenta ditte mondiali di gioielleria ben venticinque - tra cui Bulgari, Cartier e Harry Winston - non hanno risposto alla richiesta dell'ong britannica circa le disposizioni riguardanti i diamanti provenienti da zone di guerra e come esse assicurano che non siano venduti nelle proprie catene di negozi.

"La costante mancanza di specifiche politiche e disposizioni significa che i diamanti continuano ad alimentare conflitti, violazioni dei diritti umani e terrorismo" - ha commentato Corinna Gilfillan, portavoce di Global Witness. La ong britannica pubblicò quattro anni fa un celebre rapporto dal titolo "Conflict diamonds" che documentava come diverse fazioni di guerriglieri in Sierra Leone, Angola e nella Repubblica democratica del Congo vendevano diamanti per pagare i propri soldati e sostenere le attività di guerra. Da quel rapporto nacque la campagna promossa dalle maggiori ong internazionali che fece pressione sulla comunità mondiale per dotarsi di misure adeguate per non far arrivare nei negozi i diamanti insanguinati. Temendo le perdite conseguenti al boicottaggio dei diamanti - cosi come era avvenuto nel caso delle pellicce di animali durante gli anni '90 - l'industria diamantifera e le nazioni produttrici accettarono di dar inizio al Kimberley Process, le normative per prevenire che i diamanti insanguinati arrivino nel mercato che ogni anno fattura 7 miliardi di dollari. [GB]

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Conflict Diamonds in Sierra Leone