Caccia ai jihadisti

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Foto: Unsplash.com

Dopo gli attentati di questi giorni all’aeroporto di Kabul, cosa sappiamo veramente sullo Stato islamico nella provincia del Khorasan (Iskp), costola orientale del califfato di Raqqa nata sei anni fa sulla frontiera afgano pachistana? Poco, come poco sappiamo di quel che resta di Al Qaeda e delle relazioni tra queste formazioni e altre sigle jihadiste in un quadrante che va dall’Asia centrale al subcontinente indiano. Bon molto sappiamo anche delle relazioni tra i talebani e questa galassia in movimento zeppa di sigle minori salvo che – e questo è fuor di dubbio – la guerriglia diretta da mullah Akhundzada ha nell’Iskp il suo peggior nemico. Nato con una strategia internazionale e con l’idea di creare in Afghanistan un nucleo dell’emirato in contrasto con le tecnica “fuochista” dei qaedisti di formare cellule combattenti pronte a colpire anche il “nemico lontano”, l’Iskp ha fatto esplodere le sue bombe per mettere in difficoltà non solo i traditori del messaggio transnazionale del loro dogma (i Talebani sono nazionalisti e hanno sempre negato di voler esportare il jihad o di voler colpire fuori dal loro Paese) ma anche chi tratta coi diavoli occidentali. Colpendo l’aeroporto minano alla base l’obiettivo immediato su cui i Talebani puntano di più: fine di combattimenti e attentati, sicurezza, ordine.

Tradizionalmente assestato nelle province orientali di Kunar e Nangarhar, l’Iskp si è spostato gradualmente nelle province di Kunduz, Nuristan, Badghis, Sari Pul, Baghlan, Badakhshan e Kabul dove ha messo a segno attentati stragisti (come quello – non rivendicato – a Dasht-e-Barchi in maggio, in una scuola del quartiere della minoranza hazara) o l’8 giugno quando vennero uccisi 10 sminatori (attacchi erroneamente attribuiti inizialmente ai Talebani). Si sono dedicati soprattutto ad attentati anche perché le loro cellule si sono ridotte e sparpagliate in una tattica che per ora sembra aver rinunciato a creare una base territoriale allargata come era stato agli inizi. La potenza numerica è molto variabile e si è ridotta nel 2020: andrebbe dai 500 ai 1500 uomini (molti di più secondo altre fonti) nel quadro di una campagna di reclutamento di stranieri e talebani insoddisfatti dal processo negoziale di Doha o espulsi dal movimento. Il leader, Shahab al-Muhajir, che ha sostituito il precedente ucciso dai Talebani, collabora con lo sceicco Tamim a capo del cosiddetto Ufficio al-Sadiq che ha il compito di coordinare gli sforzi dell’Iskp con altre presenze legate al califfato nella regione. Capire da dove vengono i finanziamenti, dopo che la caduta di Raqqa ha significato la chiusura dei rubinetti, aiuterebbe a comprendere quali interessi internazionali il gruppo possa servire al di là di donazioni private o attività illegali...

L'articolo di Emanuele Giordana segue su Atlanteguerre.it

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