Un ponte per: sulla situazione in Kossovo

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Il 20 marzo il popolo della pace "senza se e senza ma" scende in piazza in tante città del mondo per dire forte che il terrorismo si combatte solo lottando contro tutte le guerre, contro tutte le ingiustizie, per un mondo che non veda sfruttati e sfruttatori, ma tutti i popoli uniti dallo stesso diritto e dalla stessa dignità.

A un anno dai bombardamenti in Iraq, per una guerra che corre il rischio di degenerare in guerra civile, si riaccendono gli odi di un'altra guerra mai finita, al di là delle menzogne raccontate, che il 24 marzo prossimo compie 5 anni: la guerra di aggressione alla Jugoslavia che la Nato, con l'Italia del governo D'Alema in prima linea, sferrò in nome della liberazione del Kosovo.

Chi dice oggi di voler combattere tutti i terrorismi dimentica in modo ipocrita come tanti sono stati i terrorismi finanziati e appoggiati dai governi occidentali, uno su tutti, quello dei miliziani dell'UCK ai quali si è poi data legittimazione come polizia del "Kosovo liberato". Un Kosovo, oggi, sede della più grande base Nato in Europa e crocevia di un enorme traffico di droga, armi e prostituzione.

Gli effetti di quella "liberazione" si possono vedere oggi, almeno per chi è attratto solo dall'evento mediatico, nelle immagini di case e monasteri in fiamme, di odi che possono solo generare altri odi. Il sogno della confederazione degli slavi del sud è stato ridotto a un cumulo di macerie.

Noi di Un Ponte per... gli effetti di quella "liberazione" li abbiamo visti e vissuti in tutti questi 5 anni, nei volti delle famiglie profughe sostenute a distanza, nei volti dei ragazzini profughi che ospitiamo ogni anno, nei centri di accoglienza dove vivono queste migliaia di famiglie, centri che da provvisori si sono trasformati in definitivi, senza acqua, in condizioni igieniche disastrose, senza possibilità di un lavoro. Fra questi, famiglie che hanno vissuto il dramma della fuga dalle Krajne per ritrovarsi a viverne un altro, di dramma, la fuga dal Kosovo.
Tutti profughi "Invisibili" dei quali nessuno parla mai, tranne qualche nobile eccezione.

Ancora, quegli effetti li abbiamo visti nei disastri ambientali a Kragujevac come a Pancevo, o nell'insorgere di troppe malattie del sangue nei bambini di Belgrado, di Nis, di Kraljevo.
Bambini della Serbia, dunque, ma di etnie diverse.

Segno di una convivenza ancora possibile come testimoniano anche in queste ore drammatiche le notizie che ci giungono di atti di solidarietà di kosovari-albanesi nei confronti della minoranza serba.

Noi vogliamo, in questo momento di mobilitazione contro tutte le guerre, denunciare i disastri della miope politica, che al posto della diplomazia mette gli eserciti, che al posto della verità, usa la menzogna e la propaganda per creare consenso e che, come dimostrano le vicende di questi giorni in Kosovo e in Iraq, non risolve le crisi ma le alimenta.

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