Roma: conclusa la marcia per i diritti in Eritrea

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Si è conclusa ieri in Vaticano, la marcia Ginevra - Roma di 1.200 km, inziata lo scorso 15 giugno da Samuel e Tekle Ghebreghiorghis, due fratelli eritrei di 45 e 48 anni residenti in Germania, per richiamare l'attenzione internazionale sulla violazione dei diritti umani in Eritrea. Durante la marcia è stata effettuata una raccolta di firme per l'istituzione di una Commissione di ispezione nelle carceri eritree affinché vi vengano rispettati i Diritti umani universali. La petizione verrà consegnata al Santo Padre, alle rappresentanze delle Nazioni Unite, del Parlamento Europeo e dell'Unione Africana.

La marcia è stata seguita dall'organizzazione Asper (Associazione Salviamo il Popolo Eritreo). La maratona è durata 35 giorni con tappe giornaliere di 50 Km. Dopo l'arrivo in Vaticano, i due cittadini tedesco-eritrei, accompagnati dal Senatore Francesco Martone, sono stati ricevuti dal vicepresidente del Senato Cesare Salvi al quale hanno espresso le loro richieste.

Proprio mentre Samuel e Tekle erano in dirittura di arrivo, dall'Eritrea giungevano notizie preoccupanti circa una vasta campagna di imprigionamento di genitori di giovani presunti "scappati" in diverse città e distretti del paese e soprattutto ad Adi Quala, Adi Keyih, Mendefera, Tera Emni, Arreza, Mai Mine, Mai Aini e Hazemo. Fonti ben informate come Gedab News riporta notizie sulla campagna di imprigionamenti in pochi giorni tra le 700-800 persone mentre Asmarino News rende pubblica una e-mail ricevuta dalla capitale Asmara sui fatti che accaduti e lancia un appello alla comunità eritrea all'estero a presentare denuncia presso le organizzazioni internazionali per i diritti umani

I due fratelli hanno dichiarato al termine della marcia: "La petizione continuerà finchè saremo ricevuti dal Papa. Già l'anno scorso avevano fatto la marcia Francoforte-Brxelles per consegnare una lettera a Prodi. Chilometri raddopiati. La marcia è stata dura, abbiamo i piedi distrutti. Ma, Se non otterremo risultati concreti rispetto alla nostra petizione sui diritti umani siamo pronti a anche a marciare da New York a Washington per incontrare Kofi Annan"

Nella loro impresa sono stati appoggiati dall'organizzazione Amnesty International che ha pubblicato nel 2004 un rapporto sulla situazione dei diritti umani in Eritrea, dal quale emerge un quadro di torture, detenzioni arbitrarie e sparizioni di presunti oppositori politici sempre più diffuse. Ik Rapporto inoltre ha denuncia l'aumento di persecuzioni per motivi religiosi e torture o maltrattamenti a ragazzi e ragazze che hanno cercato di evitare o eludere il servizio nazionale di leva obbligatoria, esteso anche alle donne.

Dopo una guerra trentennale (1962-1991), l'Eritrea ha ottenuto la propria indipendenza dall'Etiopia nel 1993. Il fatto però di non aver stabilito fin dall'inizio confini chiari e definitivi ha portato ad un rapido deterioramento dei rapporti tra i due Paesi, finché nel 1998 le truppe di Asmara hanno deciso di varcare il confine, dando inizio a scontri armati che sono degenerati in una sanguinosa guerra a tutto campo (1998-2000). Dopo 2 anni di conflitto e decine di migliaia di vittime (più di 70.000), Etiopia ed Eritrea hanno cessano le ostilità e si sono affidate all'Onu per decidere definitivamente dei propri confini. Nonostante la proposta sia stata formalizzata già nel 2002, i due Paesi sono ancora ben lontani dall'aver trovato un accordo e ancora recentemente il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha espresso il timore che il protrarsi delle dispute di confine possa sfociare in una nuova guerra fra Eritrea e Etiopia.

Il mese scorso il Cipsi - coordinamento di 37 Ong - ha chiesto al Governo italiano e alla comunità internazionale di adoperarsi per un embargo totale sulla vendita di armi verso l'Etiopia e l'Eritrea finchè non sia risolta la disputa sui confini di stato tra i due Paesi. Il Cipsi sollecita inoltre i Governi di Eritrea ed Etiopia a mettere in atto tutte le misure politiche e diplomatiche necessarie affinché non inizi una nuova escalation militare che potrebbe degenerare in aperta ostilità. [AT/GB]

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