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La cultura 'dell'essere vittima' perno dell'esistenza di Israele
Conflitti
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Foto: Unsplash.com
Sono le immagini dei missili di Teheran su Israele a far capire come andrà a finire. Finirà che ancora una volta, per i nostri mass media, chi ha attaccato per primo, senza alcuna ragione, senza logica o motivo, avrà ragione. Israele ha rimesso in campo la poderosa macchina di propaganda che, inesorabilmente, qualunque cosa accada lo trasforma in “vittima”. Anche quando - e lo fa quasi sempre - comincia lui la guerra, come in questo caso.
È straordinario come Tel Aviv abbia reso pubbliche in tutti i modi le immagini del bombardamento sul proprio territorio. Ogni minuto del giorno, abbiamo visto con chiarezza gli edifici che vengono abbattuti, incendiati e inevitabile - e giusta, sacrosanta - è scattata la compassione per chi in quegli edifici abitava e magari è rimasto ucciso, o ferito, o ha perso tutto.
Un’abbondanza di immagini di morte che non abbiamo mai avuto - almeno non ufficialmente e certamente mai per volontà di Tel Aviv e del governo Netanyahu - per le migliaia di edifici e le decine di migliaia di vittime di Gaza. Non abbiamo visto immagini di razzi o bombe israeliane su quelle case. Netanyahu ce lo ha vietato. Non abbiamo visto video di soldati che sparavano o distruggevano. Il governo israeliano lo ha impedito.
Così, i palestinesi sono diventati “vittime in terza persona”, note solo attraverso i racconti verbali e le cose riportate. Quasi, quasi non erano nemmeno i reali protagonisti. Gli israeliani no, loro erano le vittime in primo piano. Erano lì, sotto le bombe, ce li hanno mostrati. Sono diventati vittime sanguinanti e terribili di un nemico cattivo che li bombardava.
È stata una manovra brillantissima per la propaganda israeliana, perché la cultura “dell’essere vittima” è il perno fondamentale dell’esistenza di Israele. Non importa che - accordi internazionali alla mano - dal 1973, dalla guerra del Kippur, l’ultima delle guerre arabo-israeliane, nessuno stato confinante voglia la distruzione dello Stato ebraico. Non importa nemmeno essere diventati - con quale diritto, poi? - l’unica potenza nucleare della regione. Israele costruisce il consenso interno e la politica internazionale sul principio del “siamo noi le vittime”.
Qualche giorno fa, Yuval Dag, giovane obiettore di coscienza israeliano, era ospite a Rovereto, in Trentino. Ha spiegato come sin dai piccoli, ai ragazzi d’Israele viene insegnato che loro “sono sempre le vittime, qualunque cosa accada e qualunque cosa facciano”. Una cultura che porta i ragazzi e le ragazze ad accettare il servizio militare e la guerra come eventi naturali, perché “devono difendersi”.
Il gradino superiore di questo gioco, è che come vittime di chiunque è indispensabile “difendersi preventivamente”, cioè attaccare prima di essere attaccati. In questo modo, Israele ha giustificato l’attacco all’Iran di questi giorni. Nella stessa maniera, giustifica la presenza in Siria - Stato sovrano indipendente - di cui occupa in 14% di territorio. Per le stesse ragioni, sta illegalmente nel Sud del Libano, altro Stato sovrano indipendente.
La “povera vittima” Israele fa tutto questo con l’appoggio degli Stati Uniti e dell’Europa, che insistono nel giustificare la follia collettiva della classe dirigente - ma sono solo loro i pazzi, a questo punto? - israeliana. Le parole del presidente francese Macron, poche ore dopo l’attacco all’Iran sono esemplari: “Israele ha diritto alla difesa preventiva”.
È il Mondo del diritto umanitario e internazionale che si schianta, sprofonda nel nulla. E annega, per altro, nelle contraddizioni evidenti. Pensateci. L’Europa e gli Stati Uniti dicono che la “difesa preventiva” è un diritto. Come possono, allora, considerare un criminale Putin e riarmare l’Ucraina? Il presidente russo ha sempre giustificato la propria azione contro Kiev con la necessità di “difendere la Russia dallo strangolamento della Nato” È anche questa una “difesa preventiva”.
Il gioco ambiguo dei due pesi e due misure, nel diritto internazionale e negli equilibri del Pianeta, si è sempre dimostrato pericoloso. Nelle pieghe della contraddizione muoiono i diritti e vivono i guerrafondai. Lo sa bene Netanyahu. L’Iran, attaccato per primo e duramente, è diventato “la minaccia”, Dei morti a Teheran, assassinati a freddo dalle bombe israeliane, parleremo poco. Così come, in questi giorni, ciò che accade a Gaza finirà in secondo piano. La strage potrà continuare nel silenzio creato dalle bombe iraniane. Ma in fondo che importa: la vittima - ci dicono - è sempre Israele.
di Alessandro De Pascale
Raffaele Crocco

Sono nato a Verona nel 1960. Sono l’ideatore e direttore del progetto “Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo” e sono presidente dell’Associazione 46mo Parallelo che lo amministra. Sono caposervizio e conduttore della Tgr Rai, a Trento e collaboro con la rubrica Est Ovest di RadioUno. Sono diventato giornalista a tempo pieno nel 1988. Ho lavorato per quotidiani, televisioni, settimanali, radio siti web. Sono stato inviato in zona di guerra per Trieste Oggi, Il Gazzettino, Il Corriere della Sera, Il Manifesto, Liberazione. Ho raccontato le guerre nella ex Jugoslavia, in America Centrale, nel Vicino Oriente. Ho investigato le trame nere che legavano il secessionismo padano al neonazismo negli anni’90. Ho narrato di Tangentopoli, di Social Forum Mondiali, di G7 e G8. Ho fondato riviste: il mensile Maiz nel 1997, il quotidiano on line Peacereporter con Gino Strada nel 2003, l’Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo, nel 2009.