La Turchia resta in piazza

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Foto: Unsplash.com

di Alessandro De Pascale

Nonostante i divieti di assembramento imposti dalle autorità, in Turchia non si fermano le proteste di piazza. Da ben tre settimane centinaia di migliaia di persone scendono in strada nelle principali città contro l’arresto avvenuto il 19 marzo del sindaco di Istanbul, Ekrem İmamoğlu, accusato di corruzione e terrorismo, ritenuto uno dei più forti rivali politici del presidente Recep Tayyip Erdoğan. Dura la repressione della polizia, che nel tentativo di disperdere la folla impiega cannoni ad acqua, gas lacrimogeni e proiettili di gomma. Oltre 2.000 le persone in stato di fermo, almeno 300 quelle incarcerate dall’inizio delle manifestazioni. La maggior parte di loro ha tra i 18 e i 23 anni, perché a sfidare le restrizioni governative e animare le proteste sono soprattutto studenti universitari. Giovani che nella loro vita hanno vissuto sempre sotto Erdoğan, come primo ministro o presidente della Turchia ininterrottamente al potere da 22 anni. Dietro le sbarre è finito anche chi cerca di raccontare le proteste: la Procura della Repubblica di Istanbul ha chiesto ieri condanne fino a tre anni per il fotografo dell’agenzia France-Presse Yasin Akgül, per il reporter di Now Haber Ali Onur Tosun, per i fotoreporter Bülent Kılıç, Gökhan Kam e Kurtuluş Ari e per i giornalisti Zeynep Kuray e Hayri Tunç.

Iniziate a Istanbul il 19 marzo, giorno dell’arresto di Imamoglu, le proteste si sono rapidamente estese, coinvolgendo 55 delle 81 province del Paese. Diversi campus universitari sono stati occupati e sono stati rapidamente eletti gruppi di coordinamento per organizzare le proteste di piazza della sera. Il tutto, nonostante lo stretto controllo esercitato delle autorità anche in ambito universitario: rettori di nomina governativa, polizia e infiltrati negli atenei, chiusura delle associazioni studentesche. “Lottano per la democrazia e per la fine dell’era Erdoğan – spiega all’Atlante chiedendo l’anonimato un’attivista turco che vive in Italia – ma ora anche per ottenere la libertà dei loro compagni arrestati”. Il nostro interlocutore è uno dei tanti che negli ultimi anni ha lasciato la Turchia: “Deriva autoritaria, crescente islamizzazione, repressione del dissenso, assenza di giustizia, violazione dei diritti umani, crisi economica e abitativa, aumento del costo della vita. Le giovani generazioni faticano sempre di più nel quotidiano e spesso non vedono un futuro nel proprio Paese”. A suo dire il malcontento sarebbe così generalizzato che è scesa in piazza sia l’estrema sinistra, sia l’estrema destra, con al centro studenti e giovani lavoratori. Proteste di questo tipo non si vedevano dal 2013, quando manifestazioni giovanili nate contro il progetto di costruire un centro commerciale a Gezi Park (l’ultimo spazio verde al centro di Istanbul), ugualmente represse duramente dalle autorità, chiesero maggiore democrazia e libertà. Persino a Berlino migliaia di persone hanno marciato in questi giorni in segno di solidarietà (in Germania vivono circa tre milioni di turchi)...

Segue su: Atlanteguerre.it

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