www.unimondo.org/Guide/Guerra-e-Pace/Conflitti/Cosa-dobbiamo-raccontare-ancora-di-questo-diabolico-Risiko-Il-punto-266090
Cosa dobbiamo raccontare ancora, di questo diabolico Risiko? Il punto
Conflitti
Stampa

Immagine: Unsplash.com
Dove comincia il racconto, questa settimana?
Dal confine fra Thailandia e Cambogia, con una nuova guerra che pare prendere forma da vecchie dispute, mai risolte. A dividere i due Paesi corre una frontiera lunga 817 chilometri. C’è un contenzioso di frontiera mai risolto, in diverse aree tra cui quella dell’antico tempio di Prasat Ta Muen Thom e quella di Preah Viehar. Nel 1962 la Corte Internazionale di Giustizia aveva sentenziato che quel tempio e quella terra erano cambogiani e lo aveva ribadito nel 2013 (vedi il nostro reportage del 2019). La Thailandia si è sempre opposta. C’erano stati scontri armati già tra il 2008 e il 2011. Da maggio di quest’anno la crisi covava, con scambi di arma da fuoco e relazioni diplomatiche ridotte al lumicino. Ora, da giovedì, la guerra, con accuse reciproche su chi ha cominciato. In un comunicato, il ministero della Difesa cambogiano ha denunciato "una brutale, barbara e violenta aggressione militare da parte della Thailandia”. Bangkok, da parte sua, ha chiuso le frontiere. Il bilancio, nella prima giornata, è di almeno 12 morti: 11 civili e un soldato. In più, la Thailandia ha evacuato almeno 40mila persone da 86 differenti villaggi lungo la frontiera.
Come prosegue il racconto?
Con l’immagine di un anziano a Gaza, che muore mentre attende di ricevere un po’ di cibo. Si muore di fame e dissenteria, a Gaza. Sono i nuovi proiettili usati dal governo israeliano per sterminare un popolo e conquistare la terra che non gli spetta. Accade facendosi beffe di ogni regola del diritto, di ogni dichiarazione che richiama i diritti umani. Eppure, ora non dovrebbero più esserci dubbi sulle responsabilità dei crimini. La Corte Penale Internazionale ha respinto la richiesta di Israele di ritirare i mandati d’arresto contro Benjamin Netanyahu e l’ex ministro della Difesa Yoav Gallant. E’ la prima volta che i rappresentanti di una “democrazia” – così si ostinano a definire il sistema politico israeliano – vengono e restano formalmente accusati di crimini contro l’umanità. E’ un dato importante. I giudici sono stati intimiditi, sanzionati, accusati delle peggio cose proprio dagli araldi di quello che si autodefinisce “mondo libero”. I giudici della Corte Penale Internazionale hanno tirato dritto. Hanno detto no: i mandati restano e l’indagine sui crimini di guerra non si ferma.
Cambierà qualcosa per i palestinesi?
No, almeno non subito, almeno non ora. Continueranno a morire di proiettili e di fame, avendo come unica prospettiva per vivere quella di accettare di andarsene via. L’obiettivo del governo Netanyahu e di una consistente parte del popolo israeliano, è quello di annientare i palestinesi, di farli scomparire, rubando definitivamente terre e risorse. Il genocidio sarà totale, almeno sino a quando il Mondo non deciderà di fermare il massacro, fermando anche gli Stati Uniti e tutti quei Paesi – Italia compresa – che continuano ad avere relazioni normali con un governo che commette crimini contro l’umanità. In questi giorni, 109 organizzazioni internazionali, tra cui Mercy Corps, il Norwegian Refugee Council e Medici Senza Frontiere, hanno avvertito “che la crescente carestia della popolazione si sta diffondendo nell'enclave assediata”. Tonnellate di cibo, acqua pulita, forniture mediche e altri beni – hanno continuato - giacciono intatti appena fuori Gaza. Israele impedisce alle organizzazioni umanitarie di accedervi o consegnarli. “Mentre l'assedio del governo israeliano affama la popolazione di Gaza, gli operatori umanitari si uniscono alle stesse file per il cibo, rischiando di essere uccisi solo per sfamare le loro famiglie. Con le scorte ormai completamente esaurite, le organizzazioni umanitarie vedono i propri colleghi e partner consumarsi sotto i loro occhi”.
Cosa dobbiamo raccontare ancora, di questo diabolico Risiko?
Dobbiamo ricordare che in Ucraina siamo arrivati a 1247 giorni di guerra. Tanto è passato da quando Putin ha deciso l’invasione. Russia e Ucraina hanno avviato un nuovo ciclo di colloqui ad Istanbul, ma le speranze di un cessate il fuoco sono lontane. Il Cremlino ha raffreddato animi e sogni. I negoziatori si sono incontrati mercoledì 23 luglio. Era la prima volta da sette settimane. Agli osservatori è sembrato una specie di “atto dovuto”, messo in scena da Mosca per allentare la pressione cui l’ha sottoposta il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump.
Non ci sono stati risultati. La guerra continua, terribile. Tanti gli episodi. In settimana le forze russe hanno conquistato Degtyarnoye nella regione di Kharkiv, nell'Ucraina settentrionale, Popov Yar nella regione di Donetsk, nell'Ucraina orientale, Kamenskoye nella regione meridionale di Zaporizhia, Belaya Gora e Novotoretskoye, entrambe a Donetsk. Kiev resiste, tiene comunque la linea del fronte e ribatte prendendo di mira Mosca, con armi a lungo raggio. Le difese aeree russe hanno dichiarato di aver abbattuto 13 droni in avvicinamento, ma i droni ucraini hanno interrotto il traffico all'aeroporto Sheremetyevo della capitale russa.
Il clima politico è avvelenato, a Kiev. Zelenskyy ha revocato l'autonomia di due agenzie anticorruzione. Immediata la reazione della Commissaria per l'allargamento dell'Unione europea, Marta Kos. Ha definito la decisione un "grave passo indietro per Kiev. Gli organismi indipendenti sono essenziali per il percorso dell'Ucraina verso l'UE". La pensano così anche le migliaia di persone che si sono radunate a Kiev e in altre città dell'Ucraina per protestare contro la decisione. E’ stata la prima grande protesta contro il governo in più di tre anni di guerra contro le truppe russe d'invasione.
La guerra è anche nemica del clima.
Stiamo consumando il Pianeta. Lo sappiamo. Lo sa anche la Corte Suprema delle Nazioni Unite, che in settimana ha affermato che tutti i Paesi devono rispettare i propri obblighi in materia di clima. Non farlo, ha aggiunto, potrebbe violare il diritto internazionale, aprendo potenzialmente la strada alle Nazioni colpite per chiedere risarcimenti in future cause legali. E’ un parere giuridico rivoluzionario quello scritto dalla Corte internazionale di giustizia (ICJ). Gli Stati – dice in sintesi - devono agire con urgenza per affrontare la "minaccia esistenziale" del cambiamento climatico. Devono farlo cooperando per ridurre le emissioni, rispettando gli accordi globali sul clima e proteggendo le popolazioni vulnerabili e gli ecosistemi dai danni. Le conseguenze, altrimenti, ci saranno. Anche sul piano del diritto internazionale.
Raffaele Crocco

Sono nato a Verona nel 1960. Sono l’ideatore e direttore del progetto “Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo” e sono presidente dell’Associazione 46mo Parallelo che lo amministra. Sono caposervizio e conduttore della Tgr Rai, a Trento e collaboro con la rubrica Est Ovest di RadioUno. Sono diventato giornalista a tempo pieno nel 1988. Ho lavorato per quotidiani, televisioni, settimanali, radio siti web. Sono stato inviato in zona di guerra per Trieste Oggi, Il Gazzettino, Il Corriere della Sera, Il Manifesto, Liberazione. Ho raccontato le guerre nella ex Jugoslavia, in America Centrale, nel Vicino Oriente. Ho investigato le trame nere che legavano il secessionismo padano al neonazismo negli anni’90. Ho narrato di Tangentopoli, di Social Forum Mondiali, di G7 e G8. Ho fondato riviste: il mensile Maiz nel 1997, il quotidiano on line Peacereporter con Gino Strada nel 2003, l’Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo, nel 2009.