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Tessile, intimidazioni alla A-One
Responsabilità sociale d'impresa
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Ancora nella Export Processing Zone di Dhaka, in Bangladesh, dove sono insediate molte aziende tessili che riforniscono molte imprese multinazionali europee e italiane, esplode un caso di violazione dei diritti e di intimidazione dei lavoratori che stanno cercando di farli rispettare. La campagna italiana "Abiti Puliti" ha incontrato i lavoratori licenziati della A-One, una delle numerose aziende tessili che produce abbigliamento per molte imprese estere e impiega oggi circa 2.200 lavoratori; tra le imprese committenti vi sono i gruppi Inditex (Spagna), C&A (Olanda), Tchibo (Germania) e i gruppi italiani Coin, con il marchio Oviesse e Tessival.
Questa è la storia che i lavoratori licenziati hanno raccontato
Nel Febbraio 2005 era stato eletto un Consiglio di Rappresentanza dei Lavoratori (Workers Representation and Welfare Committee - WRWC) di 15 membri. Il Consiglio era stato autorizzato dall'Autorità della Export Processing Zone (Bangladesh Export Processing Zone Authority - BEPZA) il 4 Aprile 2005.
Il Consiglio di Fabbrica aveva elaborato una lista di 13 punti riguardanti le difficili condizioni di lavoro da affrontare in azienda e la lista era stata presentata alla Direzione Aziendale il 4 luglio 2005. Successivamente a questa data, il 18 Agosto 2005 la Direzione Aziendale aveva concordato di rispondere a 12 delle 13 richieste che le erano state sottoposte (sebbene in assenza di un accordo scritto).
Le richieste riguardavano condizioni che, secondo quanto denunciato dalla Federazione Nazionale dei Lavoratori Tessili bengalese (National Garment Workers Federation - NGWF) erano (e sono) molto pesanti e accompagnate da numerose violazioni dei diritti. La Direzione Aziendale però, nonostante una prima apertura al confronto, ha cambiato radicalmente atteggiamento con la conseguente scelta di drastiche e durissime misure repressive e intimidatorie.
Da metà Settembre la direzione della A-ONE ha cominciato illegalmente a licenziare i lavoratori.
Il 10 di Settembre ne sono stati licenziati 47, e i 9 membri del Consiglio di Fabbrica hanno ricevuto minacce di morte per forzarli alle dimissioni.
L'11 di Settembre la A-One ha proceduto a licenziare altri 80 lavoratori e il 1 di ottobre ulteriori 119.
Oltre ai licenziamenti illegali, la Direzione non ha pagato le dovute spettanze ai lavoratori; l'intenzione dell'azienda è quella di rimuovere l'intero Consiglio di Fabbrica e qualunque lavoratore lo sostenga. I lavoratori sono tuttora senza lavoro e stipendio.
COSA SONO LE EPZ
Le Export Processing Zone sono "zone franche" appositamente predisposte per attirare investimenti stranieri; nel mondo, secondo il rapporto della Confederazione Internazionale dei Sindacati Liberi (CISL) del 2004, ve ne sono più di 5.100 e impiegano circa 40 milioni di lavoratori. Si tratta di zone dove di fatto vigono regole ad hoc, funzionali a garantire le migliori condizioni economiche e sociali per le imprese. Oltre alle faciltazioni fiscali e infrastrutturali, al sindacato è impedito l'accesso e la costruzione di normali relazioni industriali. Nelle EPZ dunque i lavoratori non possono iscriversi al sindacato e la legge ammette unicamente la formazione di consigli di rappresentanza interni.
LE AZIONI INTRAPRESE DALLA CAMPAGNA ITALIANA
La Campagna Abiti Puliti, coordinandosi con la Clean Clothes Campaign europea, ha contattato le imprese italiane coinvolte inviando una lettera informativa sullo stato delle violazioni in corso che includeva richieste specifiche per sostenere la lotta dei lavoratori della A-One; ai marchi è stato richiesto in particolare di fare pressione affinchè:
- siano riassunti tutti i lavoratori licenziati
- cessi qualunque forma di intimidazione del Consiglio di Fabbrica e dei lavoratori che lo sostengono
- l'Autorità che governa la Export Porcessing Zone (BEPZA) investighi sulle denunce di minacce e abusi subite dai lavoratori della A-One e spinga la Direzione Aziendale a negoziare con il Consiglio legittimamente eletto
Sono attualemente in corso azioni di investigazione da parte delle imprese contattate; la campagna Abiti Puliti sta lavorando per la costruzione di azioni coordinate fra i vari soggetti in campo con l'obiettivo di raggiungere un accordo per il reintegro dei lavoratori. Le imprese italiane contattate hanno attivato canali locali per ispezioni e verifiche e hanno espresso la volontà di collaborare al percorso.
Vi terremo aggiornati sugli sviluppi del caso e su eventuali azioni urgenti di pressione da intraprendere.
a cura di Deborah Lucchetti
Fonte: Campagna Abiti Puliti