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Responsabilità sociale d'impresa: meno beneficenza, più diritti
Responsabilità sociale d'impresa
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Responsabilità sociale d'impresa, ovvero il riconoscimento da parte di chi opera nei paesi in via di sviluppo di standard lavorativi, sanitari e ambientali quanto più possibile simili a quelli in vigore nei paesi occidentali e tali da garantire i lavoratori e i cittadini di quei Paesi. Se ne è parlato oggi, mentre si aprono a Varese i lavori al Consiglio dei ministri europei del Lavoro, nel corso di un incontro organizzato a Roma da un cartello di associazioni (Amnesty International, Arci, Azione Aiuto, Banca Etica, Cittadinanzattiva, CTM-Altrmercato, Legambiente, Libera, Mani Tese, Save the Childen, Transfair, Unimondo) unite nella campagna Meno Beneficenza, più diritti. Si è parlato della necessità di fare del semestre di presidenza italiana dell'Unione l'occasione per avviare norme vincolanti per le industrie e garanzie per lavoratori e consumatori.
"Sì, perché - spiegano le associazioni - ormai il consumatore è uno dei soggetti che domina la scena economica: a partire dalla questione dell'apartheid in Sud Africa, i consumatori e i piccoli risparmiatori hanno scoperto in maniera sempre più cosciente e organizzata l'efficacia del potere che hanno di indirizzare il mercato e, quindi, anche della responsabilità di usarlo. Associazioni di consumatori sono state create non solo o non tanto per difendere i diritti dei consumatori ma per contribuire alla risoluzione dei problemi mondiali, in particolare di quanto compete al comportamento delle grandi imprese. E, come dimostrano ormai numerosi studi, i consumatori sembrano disposti a pagare un prezzo ragionevolmente maggiore per avere un prodotto che non sia il risultato di sfruttamento e schiavitù. Il miglior valore aggiunto apportato dalle aziende, diventa allora non tanto e non solo l'innovazione o la creatività (tanto meno il prezzo che non è mai stato da solo un elemento di successo per le aziende) ma la sicurezza di poter dimostrare che il prodotto è stato fatto per le persone e non contro le persone. Come sostiene il Premio Nobel per l'Economia Amartya Sen, l'etica fa bene all'economia e l'economia fa bene all'etica".
"Il concetto di responsabilità deve ovviamente pervadere tutti i livelli aziendali, tutta la catena di creazione del valore": fornitori, quindi, clienti, subfornitori, licenziatari, consumatori. Dovrebbe inoltre poter essere discusso anche nella sua applicazione con i partner sociali, lavoratori, comunità locali, organizzazioni del territorio, autorità. Deve tener conto delle elaborazioni e dei contributi avanzati su molteplici livelli e da molteplici attori (ONU, OCSE; ILO, Sindacati nazionale e internazionali, associazioni, ONG) allo scopo di portare progressivi miglioramenti alle condizioni di vita e di lavoro di milioni di persone nel mondo coinvolte nella produzione di beni o di servizi per le imprese europee. Deve essere, prima di tutto, un impegno vincolante, e non una mera proposta che si affida alla buona volontà delle imprese: "i diritti non possono essere garantiti solo dalla buona volontà ". Purtroppo però, lamentano le associazioni (che hanno stilato un dettagliato dossier sulla questione), è questo l'indirizzo assunto sull'argomento sia dall'Italia che dall'unione Europea. Nel Libro Bianco della Commissione Europea, infatti, emerge chiarissima la scelta di evitare qualunque imposizione, rifiutando decisamente qualunque ipotesi di una regolamentazione che vada oltre il puro volontarismo, comprese la possibilità di istituire l'obbligo di rapporti sociali e ambientali periodici o una certificazione sociale obbligatoria. "Una scelta perdente, anche per le imprese: l'assenza di rapporti pubblici periodici sulla loro struttura produttiva e sulle conseguenze sociali ed ambientali della loro produzione non solo infatti è un ostacolo nel garantire ai cittadini e ai consumatori il diritto di avere informazioni, ma rappresenta anche una sconfitta per la competitività. Senza rapporti o certificazioni vengono penalizzate le condotte più responsabili".
D'altra parte, nemmeno l'Italia ha saputo andare oltre indicazioni lasciate alla discrezionalità della ditta. Al Ministero del Lavoro sembra si sia lavorato molto per affrontare l'argomento durante il semestre italiano di presidenza dell'Unione, anche se i dettagli non sono conosciuti: l'approccio che viene seguito sembra in linea con quello della Commissione Europea, tutto su base volontaristica, dunque. Il Ministero italiano preferisce parlare di "Social Commitment", diretto "a favorire la partecipazione attiva delle imprese al sostegno del sistema di welfare nazionale e locale secondo una moderna logica di integrazione pubblico-privato". Si tratta di coinvolgere le imprese, che aderiranno su base volontaria in un sistema di finanziamento di una parte delle politiche di welfare. "Non è chiaro - contestano le associazioni - cosa abbiano in comune politiche del genere con il concetto di Responsabilità Sociale d'Impresa, nemmeno nel significato meno ampio ad esso attribuito dalla Commissione Europea. Si portano come esempio interventi nel campo dei non autosufficienti, la creazione di fondi integrativi etici, si progettano incentivi fiscali (attraverso la defiscalizzazione delle elargizioni in campo sociale) e finanziari (attraverso la diffusione di fondi pensione etici) alle imprese che si inseriranno in questa logica.
Le Richieste Delle Associazioni. Amnesty International, Arci, Azione Aiuto, Banca Etica, Cittadinanzattiva, CTM-Altrmercato, Legambiente, Libera, Mani Tese, Save the Childen, Transfair, Unimondo avanzano dunque le seguenti proposte al Governo italiano affinché l'Europa imbocchi la via di un sistema industriale e commerciale più responsabile e sostenibile.
Un Codice Di Condotta Europeo per le imprese che operano all'estero, elaborato dal Consiglio seguendo l'invito del Parlamento Europeo e gli indirizzi indicati dai più importanti trattati internazionali in tema di lavoro, diritti umani e protezione dell'ambiente.
Una Base Giuridica Vincolate per la disciplina delle attività delle imprese all'estero
Obbligo Di Presentazione Di Rapporti Sociali E Ambientali accanto a quelli economici e finanziari
Incentivi Fiscali E Finanziamenti elargiti sulla base della condotta socio-ambientale dell'impresa; e, d'altro canto, fondi negati a chi non raggiunge adeguati standard.
In sede di Acquisti E Appalti, si adoperi perché vengano obbligate le aziende appaltatrici a scegliere prodotti socialmente ed ecologicamente responsabili, stabilendo i criteri per la loro individuazione, ad esempio la certificazione SA8000.
Regolamentare In Modo Più Stringente Il Commercio Di Diamanti Tramite Il Procedimento Kimberley, che va corretto e irrobustito con gli altri Paesi Europei e nell'ambito del G8.
Fonte: Legambiente