Per la Chevron gli indigeni dell’Amazzonia sono dei mafiosi

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Quando nel 1993 un gruppo di appena quindici indigeni intentò la class-action ai danni della major statunitense, la notizia non fece il minimo scalpore. Ci vollero diciotto anni per dimostrare al mondo le responsabilità di Texaco – acquistata nel 2001 da Chevron – in quello che da molti viene considerato il più grave disastro ambientale della storia.

Tra il 1964 e il 1990, Texaco sversò nella foresta pluviale ecuadoriana 80 miliardi di metri cubi di rifiuti tossici e 70 milioni di litri di petrolio, decimando le comunità indigene della zona e distruggendo per sempre un patrimonio inestimabile di biodiversità.

A distanza di anni, numerose pozze di greggio sono ancora visibili nelle province di Orellana e Sucumbios, le falde acquifere sono contaminate e basta scavare pochi centimetri per riportare in superficie gli scarti del petrolio nascosti da Texaco in quasi trent’anni di attività.

Quando gli indigeni denunciarono il crimine a una Corte di New York, Chevron fece di tutto per spostare il processo in Ecuador. La compagnia credeva che in quel piccolo paese del terzo mondo latino, lontano dagli occhi indiscreti della stampa statunitense, avrebbe potuto facilmente influenzare il verdetto.

Il processo fu così spostato in Amazzonia, ma la determinazione degli avvocati dei nativi ebbe la meglio e l’azienda californiana fu condannata in via definitiva.

Negli ultimi anni Chevron ha cercato a più riprese di addossare le colpe del disastro a Petroecuador, la compagnia di bandiera del paese sudamericano subentrata a Texaco nelle trivellazioni in Amazzonia. Ma il processo ha dimostrato come i danni siano stati causati in zone dove ad operare fu soltanto Texaco.

Nel frattempo, a quasi due anni dalla sentenza, gli indigeni non hanno ancora visto un centesimo. Con i suoi cento avvocati e un budget per la difesa di circa mezzo miliardo di dollari, il colosso energetico continua a rivolgersi a qualsiasi istanza nazionale e internazionale pur di eludere le proprie responsabilità e non pagare.

Conferenza stampa. Da sinistra a destra: Simón Lucitande Yaiguaje, Luis Piayaguaje Piaguaje, Emilio Lucitante Auguaje, Humberto Piaguaje, Pablo Fajardo, Mario Melo. Foto credit: associazione vittime UDAPT

L’ultimo in ordine di tempo è il ricorso presentato pochi giorni fa a una Corte di New York. Basandosi su una legge federale degli anni ’70, pensata per combattere la mafia e il crimine organizzato – il cosiddetto RICO Act – Chevron ha denunciato i firmatari della class action e i loro avvocati, accusandoli di essere a capo di un’organizzazione a delinquere che ha corrotto giudici e autorità locali al fine di ottenere una sentenza favorevole.

Per il Frente de defensa de la Amazonía, un’associazione nata per sostenere i nativi nel processo contro Chevron, a suggerire il ricorso è stato il giudice Lewis Kaplan, lo stesso che adesso dovrà decidere nel merito.

“Non permetteremo che Chevron abusi del suo potere economico per sfuggire alle proprie responsabilità”, ha assicurato l’avvocato degli indigeni Pablo Fajardo, durante una conferenza stampa indetta ieri a Quito per mostrare al mondo i volti dei nativi accusati di mafia.

Tra loro anche Humberto Piaguaje, il leader della nazionalità indigena Siekopai che ha denunciato la faziosità della Corte, ricordando come a nessuno degli accusati sia stato permesso di andare a New York per partecipare a questo nuovo processo.

Affrontare un colosso di queste dimensioni è davvero dura per gli indigeni amazzonici. Tanto che Fajardo si è rivolto alla comunità internazionale per chiedere maggiore solidarietà e un sostegno economico per condurre una battaglia di civiltà che faccia prevalere i diritti umani e ambientali sugli interessi economici privati.

Il processo durerà poche settimane e probabilmente, dicono gli indigeni, il giudice Kaplan emetterà un verdetto favorevole a Chevron. Ma Fajardo e gli altri legali sono già pronti a ricorrere in appello, nella speranza che almeno lì avranno diritto al giusto processo. E assicurano che la lotta di Davide contro Golia andrà avanti.

Tancredi Tarantino

Fonte: RE:common

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